|
|
Otto brevi racconti fantastici, a metà strada tra il sogno e l’incubo: nei primi due altrettanti bambini assistono l’uno al matrimonio delle volpi, l’altro alla fioritura d’un pescheto ormai distrutto; quattro scalatori si addormentano durante una tormenta; un soldato si trova di fronte i suoi compagni morti in guerra; protagonista degli ultimi quattro è un uomo che si ritrova nei quadri di Van Gogh, poi alle pendici del Fujiama durante l’esplosione di una centrale nucleare, in una terra distrutta dalla radioattività delle bombe H e, infine, in un villaggio che al progresso ha preferito la tranquillità della comunione tra uomo e natura. |
|
|
|
Con immensa poesia, ed altrettanta cattiveria, l’ottantenne Kurosawa ci regala un’opera che alterna amore per il mondo e delusione per chi lo abita, per chi pretende di modificarlo secondo illogiche pretese e, così facendo, lo distrugge. La rabbia che soggiace, coperta da un uniforme ma trasparente lenzuolo sublime, rivela un’amarezza quasi inaspettata nei confronti del genere umano: la guerra è follia, l’esercito è disumano, afferma il comandante nell’episodio “Il tunnel”, ma questo non è sufficiente per giustificare la colpevolezza umana; è l’uomo sotto accusa, con la sua incredibile imbecillità che “lo spinge ad inventarsi il modo di rendere visibile la radioattività soltanto per sapere cosa lo uccide”. La distruzione totale, che appare inevitabile, è sì un incubo, ma forse anche la degna conseguenza di un progresso contro-natura, finendo per attaccare indiscriminatamente, con la scienza, ogni forma dell’intelletto umano che cerchi una risposta al di fuori di Dio.
Ogni lamento nei confronti di una condizione esistenziale di base è soltanto una posa dell’essere umano: è questo essere che distrugge la bellezza del mondo, non capendo l’importanza della natura e trattandola male. La sentenza definitiva esce dalla bocca del vecchio di un villaggio (Chyshu Ryu, attore-icona di Yasujiro Ozu): tutto sta nel comportamento dell’uomo perché, di suo, la vita è entusiasmante.
Questa visione celestiale della vita prima della corruzione umana è espressa per tutto il film, ogni sogno è un ritorno all’essenzialità ed alla bellezza della natura, dalle inquadrature di “Sole attraverso la pioggia”, nelle quali su ogni albero cade una luce diversa, dalla lentezza rituale del matrimonio e della danza delle bambole nei primi due episodi fino all’idillio del villaggio dei mulini. Tra questi due estremi, che si uniscono a creare un ciclo eterno tra il mondo dell’infanzia, prima del contatto con la follia umana, e quello di chi ha scelto di lasciarsi alle spalle tale follia, gli episodi più cupi, nei quali Kurosawa mostra come l’uomo sia in grado di distruggere tanto un pescheto quanto il pianeta intero. E in questo lamento continuo, proprio come nei sogni si apre uno squarcio di sconfinata ammirazione per ciò che l’uomo, quando capisce che tutto nella natura ha la sua bellezza, è in grado di fare: “Corvi” è un messaggio d’amore per Van Gogh (interpretato da Martin Scorsese) e per l’arte in generale, in meno di dieci minuti si consuma l’unione più alta mai realizzata tra cinema e pittura, tra un mondo di tempera ed uno reale che però mantiene gli stessi colori visti (sognati?) dal pittore olandese. La sua follia, tagliarsi un orecchio per dipingere un quadro, è nulla paragonata a quella dell’uomo, distruggere la Terra pensando che le cose comode siano le migliori.
Da vedere una sola volta, perché la cattiveria non offuschi la poesia. |
|