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Una fase, immaginaria, della vita della celebre fotografa newyorkese Diane Arbus, che con i sui provocatori ritratti di 'freaks' (nani, giganti, gemelle siamesi, ecc) e prostitute ha scandalizzato l'America benpensante a cavallo tra gli anni '50 e '60. |
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Un omaggio a Diane Arbus, artista geniale (anche se l’impatto rivoluzionario che ha causato è spesso sopravvalutato: nello stesso periodo ben più incisivo era Andy Warhol, e non solo lui) nella New York degli anni ’60: questo voleva essere “Fur”. Prendendo spunto dalla biografia (non autorizzata) di Patricia Bosworth, è stato scelto un periodo della vita di Diane quantomeno discutibile, mancando clamorosamente l’obiettivo. Casalinga, aiutante del marito fotografo, la Arbus rappresentata prende la sua strada per noia, quasi per caso, senza alcuno stimolo intellettuale o il senso di necessità, di dovere morale che trapela dalle parole della vera Diane Arbus.
I suoi mostri sono un semplice contorno di una storia d’amore, interessante quanto inventata; il titolo mette in guardia, ci troviamo di fronte ad un ritratto immaginario. Ciò nonostante, si poteva fare di meglio che rinunciare alla rappresentazione della personalità di un’artista che delle proprie scelte controcorrente ha fatto il suo maggior cavallo di battaglia.
Sullo schermo, tutto ruota intorno all’emersione del subconscio di Diane, alla sua trasformazione da schiava di un ruolo borghese, inibita e repressa, a schiava delle proprie pulsioni, del desiderio di sottrarsi all’etichetta, di assecondare una passione propria e non derivata dal contesto familiare. Nicole Kidman offre una prova convincente soprattutto in questo secondo ruolo, nel quale con sguardo finalmente vivo riesce a comunicare al di là delle parole; nella prima parte è gelida come siamo spesso abituati a vederla, lasciando a sua volta un po’ freddo lo spettatore: d’altro canto non capita tutti i giorni di essere diretti da Kubrick o Von Trier, registi con i quali l’attrice australiana ha tirato fuori il meglio di sé.
Robert Downey jr, l’ipertricotico vicino di casa – la bestia, in pratica, essendo il film nulla più dell’ennesima versione della bella e la bestia – si destreggia in un ruolo, per necessità, interpretato esclusivamente con lo sguardo: che sia bravo lo si capisce quando, nudo e in sembianza di uomo comune, risulta quasi meno convincente della versione mostruosa.
Purtroppo il finale è l’altra pecca di un film altrimenti godibile, le scelte conclusive sono banali e inutili nel delineare il carattere della protagonista: ma, come si è già detto, questa non è sembrata essere una priorità. Un omaggio incompiuto. |