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E' l'immagine più significativa della Guerra del Pacifico – l’attimo immortalato da una macchina fotografica in cui cinque Marines e un Ufficiale Sanitario della Marina americana piantano la bandiera Americana sul Monte Suribachi, nei giorni della sanguinosa battaglia per il presidio giapponese di Iwo Jima, isola sperduta con spiagge scure e cave di zolfo. Solo tre dei sei soldati sono tornati vivi – John "Doc" Bradley, l'Ufficiale Sanitario della Marina; Ira Hayes, un timido americano di origini pellerossa e Rene Gagnon, un portaordini militare che non ama fare fuoco con il suo fucile. |
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La battaglia sul Pacifico è per il cinema americano una sorta di chiodo fisso, punto di paura da affrontare continuamente. Come non poteva Clint Eastwood, americano con stelle e strisce tatuate nell’anima, rendere omaggio a una delle immagini più importanti dell’intera storia bellica Usa. Quella bandiera issata sopra la vetta del Monte Suribachi, territorio sacro giapponese, ha significato più di quello che realmente significava. Una sorta di errore comodo capace di far vincere una guerra.
È un giorno che puzza di zolfo come l’isola bombardata per giorni e ci troviamo nel mezzo di un assalto tremendo, la regia sceglie toni violentissimi e camera a spalla ma non riesce mai ad essere originale e resta continuamente un passo indietro allo sbarco in Normandia del “Soldato Ryan” o al lento progredire filosofico della “Sottile Linea Rossa”.
In un momento di pausa la bandiera viene fatta piantare in alto sul monte come fiducia per il resto delle truppe che ancora sono in mare. La bandiera domina l’intera baia ed evoca conforto, postazione assicurata, certezze.
Poi improvvisamente una foto, un’immagine semplice scattata quasi per caso cambia il destino, il corso di una guerra, la vita di tre uomini, apre un altro film, si esce dal campo di battaglia e si entra nell’intrigo politico, nella logica del “buono di guerra” da comprare ad ogni costo per vincere la stessa.
La foto finisce sui giornali, crea l’icona che la vittoria è in pugno, infonde calma ad un paese sfiduciato, tanto felice di entrare in una guerra quanto pronto a stufarsi delle proprie incapacità.
Joe Rosenthal dell’Associated Press, autore della foto, è diventato famoso come Warhol… I tre soldati della bandiera costretti ad assumere un ruolo che non esiste, loro in fondo neanche l’hanno issata quella bandiera, una pagliacciata milionaria che gonfia le orecchie e gli occhi di un paese incantato-bile con un semplice trucco-piffero.
Fu anche coniata una moneta con questa immagine ci ricorda Eastwood durante la presentazione del film e per quella battaglia morirono quasi 7.000 americani. Ce lo ricorda perchè noi non lo ricordiamo e ce lo mostra, ennesimo videogioco da battaglia, poi cerca d’incastrarci una storia e la gonfia di americanismo, di buoni sentimenti, di facce giuste, di sporcizia politica, di senatori viscidi, di bandiere… la gonfia e basta fino a un finale inutilmente lento, quasi ridicolo nella parafrasi biografica dei protagonisti, mai in fondo interessanti veramente da meritare un epilogo, figuriamoci poi così lungo.
Un merito di Clint: “Gli uomini fanno la guerra per difendere i compagni, quelli che cadono accanto, magari mai visti prima …”
Un demerito di Clint: perché non far trasparire che proprio questa “divina” bandiera ha finanziato le bombe atomiche?
Troppa America tutta insieme. |
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Eastwood fa quello che nessuno ha mai fatto prima: girare un intero film basato su una fotografia. Prendendo spunto dallo stupendo romanzo di James Bradley (figlio del personaggio protagonista, John, che compare nel celebre scatto), il film si concentra piu' sulla fama e sul potere mediatico che e' scaturito dall'istantanea fatta sul monte Suribachi, arrivando a rovinare le famiglie dei soldati che fecero parte della fotografia. Soffre troppo nelle scene iniziali, un po' lente, mentre la sequenza della battaglia, seppur girata con mestiere, non appaga come quella de Salvate il soldato Ryan (e infatti produce Spielberg).Un film comunque personale e ambizioso, tutto sommato riuscito,da confrontare con Letters from Iwo Jima, che tratta della stessa battaglia vista con gli occhi dei giapponesi.
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