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Diversi personaggi raccontati attraverso il rapporto che hanno con il denaro e gli scambi più o meno consapevoli che hanno tra di loro:un affermato commercialista che si arricchisce riciclando denaro proveniente da attività illecite, una giovane comandante della Guardia di Finanza che indaga su di lui, una modella, un uomo politico e una prostituta ucraina, una coppia di pensionati e, infine, un benzinaio in un gioco di specchi sulla nostra realtà attuale. |
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Un film sull’Italia degli intercettati e quella degli intercettatori. Un paese che sta subendo un declino morale prima che economico. C’è un giudizio pesante in “A casa nostra”, ultimo lavoro di Francesca Comenicini. Un film politico perché affronta temi molto attuali: le scalate, le intercettazioni, e gli intrecci malati tra il mondo finanziario e le istituzioni. Di sfondo c’è Milano, la città degli affari, dei soldi ma “anche dei contropoteri forti come la magistratura” come spiega la regista. Milano è silenziosa, un po’ ambigua ma tremendamente affascinante nelle riprese dall’alto (dalla Torre Velasca). Seguendo le vicende dei tanti personaggi si rischia, certo, un po’ di confusione. I due antagonisti: Ugo, padrone di una banca, piacente e grande professionista (“mai visto uno bravo così coi soldi” gli dice un faccendiere russo); dall’altra parte c’è Rita, ispettore della guardia di finanza, una donna determinata e onesta quanto debole e un po’ frustrata nella vita privata. Da tempo Rita segue gli affari loschi di Ugo, è lei in prima persona a studiare le intercettazioni senza mai riuscire a incastrarlo, Ugo gode di protezioni importanti, magistrati e politici (straordinaria interpretazione di Bebo Storti). Ugo ha una moglie con un inappagato desiderio di maternità e una giovane amante, Elodie, una modella mantenuta in una suite con vista sul Duomo. Per procedere nei suoi affari serve un prestanome, Gerry è perfetto, è ingenuo, un po’ facilone, lavora in un supermercato e sogna i soldi.
La corruzione, però, non è solo degli affaristi, ci sono anche i corpi femminili in vendita sui marciapiedi e l’invadenza dei cartelloni pubblicitari di una città in cui tutto si compra, persino i neonati.
Il rapporto uomo/donna è l’altro tema forte: la maternità è sognata e spesso negata (ma c’è anche un’autentica scena di un parto).
Nel film poi compaiono altri personaggi interessanti, quasi a formare uno spaccato completo di un paese complesso che non è solo terra dei maneggioni ma “è anche casa nostra”, come rivendica Rita urlandolo in faccia a Ugo.
Viene in mente il Caimano con la sua visione sconsolata di un paese ormai berlusconizzato, ma lì Moretti si concentrava sulle malefatte del Cavaliere e sui suoi effetti sull’Italia. Da un punto di vista narrativo per la sua circolarità, “A Casa nostra” ricorda, invece, lo splendido Crash di Paul Haggis.
La domanda è d’obbligo: è un film riuscito? In gran parte sì. La Comencini è brava ad evitare moralismi eccessivi e una caricatura grottesca degli scandali italiani (per intenderci non è un film su Moggi o sui furbetti del quartierino). Il film poi è ben girato, con una splendida fotografia e una colonna sonora azzeccata e fortemente evocativa. Forse però c’è troppa carne al fuoco, a lungo è complicato seguire le vicende dei tanti personaggi, difficile vederne i legami. Alla fine poi tutto torna, ma troppo frettolosamente. |
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