I comunisti non mangiano i bambini, ma un po’ li spaventano. Tutta colpa di Fidel è il primo film di Julie Gavras, figlia del grande Costas, tratto dall’omonimo romanzo di Domitilla Calamai.
Siamo agli inizi degli anni Settanta, Anna, nove anni, vive a Parigi con i genitori e un fratellino. La sua esistenza è sconvolta dall’improvviso impegno politico del padre (Stefano Accorsi), uno spagnolo esule in Francia. Erano una famiglia perfetta, nell’ottica della bambina: a scuola con le suore e a casa con la cameriera cubana (che le racconta gli espropri dei “Barbudos” di Castro). Ma l’idillio borghese è rotto dalla scelta del padre di diventare un militante. Una scelta repentina apparentemente priva di una minima riflessione. In realtà non è così: Accorsi, che nel maggio ’68 “lavorava”, si dedica con tanto ardore all’avventura di Allende in Cile perché dietro di sé ha delle radici che lo tormentano e che emergono solo alla fine.
Il film racconta tutti i cambiamenti visti da Anna, “una bambina reazionaria”, che vede la nuova e squallida casa invasa da gruppettari intenti a cambiare il mondo dal salotto accanto alla sua cameretta. Lei si impunta e per un po’ sembra preferire i nonni di destra con mega villone (“i comunisti ci odiano e ti vogliono rubare le bambole”) ai genitori.
Il film è carino, ironico e prende garbatamente in giro la generazione del Sessantotto. Il tutto visto con gli occhi di una bambina di nove anni, che più volte mette a nudo ingenuità ed eccessi di quello straordinario momento di cambiamenti sociali e del costume. Si ride molto e se inizialmente compaiono troppi stereotipi sugli anni Settanta, con il trascorrere della storia tutto prende corpo con grande dignità. Insomma un ottimo esordio di una regista che non segue, anzi sfotte un po’, le orme di papà. |