"Il XX secolo non è stato quello dell'immagine, come si pretende, ma quello dell'ottica e soprattutto dell'illusione ottica".
I gemelli Oxide e Danny Pang, al loro terzo lungometraggio, confezionano un horror non generato da mostri o creature spaventose ma con i risvolti più nascosti della psiche umana, dell’angoscia dovuta dall’inquietudine psicologica. Una sorta di saggio metafisico sullo sguardo mascherato da film horror.
Dalla Hong Kong moderna ci si immerge nella campagna thailandese, misteriosa e confusionaria, e mentre nella prima parte c’era la sensazione chiara ed esplicita che coloro che muoiono all’improvviso di morte violenta ricompariranno come spettri senza pace pronti a compiere le loro ultime azioni di continuo in un eterno ciclo, nella seconda parte della pellicola la protagonista è una Cassandra moderna che vede quello che non è ancora accaduto.
Sul piano narrativo c'è lo scontro tra un presente desensibilizzato, in cui non essere visti equivale a non esistere (le persone normali non vedono i fantasmi, dunque si comportano come se nulla fosse, nonostante questi cerchino di interagire con il mondo), e un residuato di tradizioni che persistono nella loro operatività.
Prodotto da Peter Chan insieme a Lawrence Cheng, “The Eye” risulta un film che fa proprio della sua deriva filosofica la carica emotiva. Un'accurata costruzione della tensione, una volta tanto non fondata su stacchi improvvisi quanto sulla sottile concatenazione di piccoli eventi. |