"Benvenuti a questi versi. C'è una guerra che infuria. Ma cercherò di mettervi a proprio agio".
(Leonard Choen)
C’è l’America che vuole la guerra, ossessionata e paranoica, cerca un nemico qualunque purché lo si possa combattere.
C’è anche un’altra America, troppo occupata a colmare le piaghe sociali di disparità, disoccupazione e malattie e miseria che sembrerebbero impensabili all’ombra dei grattacieli.
E’ la terra dell’abbondanza secondo Wim Wenders; l’aria che si respira oggi negli States è sempre più malata.
Paul Jeffries vive per una sola causa: proteggere l'America. Dopo la tragedia dell'11 Settembre, vive in uno stato d'isolamento e di costante allerta, alla ricerca di potenziali minacce per il venerato sogno americano.
Lana ha vent'anni, la sua passione è aiutare la gente ed è appena rientrata da un lungo viaggio missionario in Palestina. Paul è il suo unico parente vivente, ma sembra non volerne sapere di lei.
Che l’America non fosse il paese dei sogni lo si intuiva già dai capisaldi “Paris Texas”, “Lo stato delle cose”, “Alice nella città”; qui il sentimento di affetto e critica verso una nazione e i suoi sistemi (politici, economici e sociali), si carica di una struggente riflessione sulla necessità di ripartire dalle piccole cose: gli affetti familiari, l’accoglienza, persino la Fede intesa nei più semplici valori cristiani o gli ideali patriottici.
Ma gli estremi di cui ci parla Wenders non sono solo la paura e l’amore. La macchina da presa riprende ricchezza e la povertà, passando dai palazzi sontuosi e barocchi della terra dell’abbondanza ai terribili sobborghi che di Abbondanza non hanno mai sentito parlare.
Ancora contrasti: quelli tra una città sovrappopolata e un paesino praticamente disabitato. Quelli di una natura incontaminata, dove si passa dal deserto assolato e desolato, alle verdi montagne degli Stati Uniti centrali.
Questo clima di tensione inespressa, viene narrato attraverso primissimi piani che sembrano portare lo spettatore ad accarezzarne la pelle e a sentirne il respiro, per poi gettarlo lontano dall’azione, in quel punto di vista dove tutte le cose si mischiano e si confondono.
Conflitti insomma. Conflitti solo minacciati, mai espressi. La pellicola ci mostra solamente due momenti tragici, l’omicidio e l’assalto di Paul. Questi sono in realtà l’inizio e la fine della vicenda, di tutti gli altri conflitti inespressi, che poi scoppieranno senza lasciare traccia, come tante bolle di sapone.
Il risultato è comunque più che apprezzabile: impariamo ad ascoltare il silenzio quando tutti intorno urlano e strombazzano; non temiamo di ripartire dallo zero (anche quando è il Ground Zero).
Presentato in concorso alla 61ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. |