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Recensione: L'ombra del potere - The Good Shepherd

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L'ombra del potere - The Good Shepherd
titolo originale The Good Shepherd
nazione U.S.A.
anno 2006
regia Robert De Niro
genere Thriller
durata 167 min.
distribuzione Medusa Film
cast M. Damon (Edward Wilson) • A. Jolie (Clover Wilson) • R. De Niro (Bill Sullivan) • J. Pesci (Joseph Palmi) • B. Crudup (Arch Cummings) • M. Gambon (Dottor Fredericks) • A. Baldwin (Sam Murach) • W. Hurt (Philip Allen) • M. Gedeck (Hanna Schiller) • G. Macht (John Russell Jr.)
sceneggiatura E. Roth
musiche J. Horner
fotografia R. Richardson
montaggio T. Anwar
uscita nelle sale 20 Aprile 2007
media voti redazione
L'ombra del potere - The Good Shepherd Trama del film
Edward Wilson è un patriota che conosce il significato e il valore della parola segretezza, e che ha fatto della discrezione la sua ragione di vita, dopo una tragica e privilegiata infanzia. In virtù della sua intelligenza, della sua reputazione immacolata e della sua incrollabile fiducia nei valori fondanti dell'America, Wilson diventa il candidato ideale ad una carriera nel mondo dello spionaggio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il giovane idealista viene assunto presso l'Ufficio Servizi Strategici (OSS), antesignano della CIA, una decisione che cambierà per sempre il corso della sua vita e modificherà la configurazione geopolitica del mondo fino ai giorni nostri. Essendo uno dei fondatori della CIA, e lavorando nel cuore dell'organizzazione dove la doppiezza è una dote fondamentale e dove nulla è quello che sembra, l'idealismo di Wilson verrà lentamente eroso dalla sua natura sempre più sospettosa che rispecchia un mondo che sta per entrare nella decennale paranoia della Guerra Fredda.
Recensione “L'ombra del potere - The Good Shepherd”
a cura di Riccardo Rizzo  (voto: 7)
Per diversi anni De Niro ha pensato di girare un film sul mondo dello spionaggio, conducendo diverse ricerche sul tema grazie ad un ex agente segreto della CIA in pensione, ricerche che lo hanno portato a viaggiare fino agli angoli più remoti dell’ Afghanistan o del Pakistan. Quando poi ha avuto l’occasione di avere tra le mani una copia della sceneggiatura di Eric Roth (sceneggiatore anche di Munich, Insider, Alì, Forrest Gump, tra gli altri) che parlava proprio di questi argomenti, e più precisamente della nascita della CIA, non ha esitato a voler girare quello che fino a quel momento veniva considerato da molti uno dei migliori film “non-realizzati” in circolazione.
Nasce così The good shepherd, incentrato interamente sulla figura di Edward Wilson, personaggio fittizio che riflette la vita del vero fondatore dell’Agenzia e attraverso il quale assistiamo alla storia (segreta) americana che va dai primi anni quaranta fino all’inizio della guerra fredda. In realtà ben presto si capisce che non stiamo di fronte ad una ricostruzione minuziosa dei fatti, non c’è taglio documentaristico, bensì la volontà di rappresentare la CIA dal punto di vista umano, ovvero seguendo da vicino le persone che la compongono. Questi venti anni di bugie, tradimenti e verità nascoste vengono ri-percorsi attraverso gli occhi lucidi di un solo uomo, un bravissimo, grigio, gelido Matt Damon, che progressivamente perde qualsiasi coinvolgimento emotivo con tutto ciò che lo circonda: la sicurezza della nazione diventa un culto al quale sacrificare la propria identità e la propria coscienza, intesa come privata. In uno dei passaggi più significativi del film, lo stesso Wilson afferma che se se gli italiani fanno perno su chiesa e famiglia, gli irlandesi sulla patria, gli ebrei sulla tradizione, gli americani possono solo credere negli Stati Uniti d'America, perché tutti gli altri non sono altro che ospiti di passaggio. E’ la chiave di lettura di un film crudo, che non tende né al thriller né alla denuncia, ma che vuole semplicemente fare luce sul Potere e le sue ombre.
Sfortunatamente un cast stellare (Jolie, Turturro, Baldwin, Hurt tra gli altri) e una fotografia perfetta dai toni cupi e misteriosi, non riescono ad emozionare fino in fondo: il continuo andare avanti e indietro nel tempo e gli innumerevoli tradimenti che si susseguono senza tregua per quasi tre ore, rischiano solo di confondere e non coinvolgere lo spettatore che a volte resta impassibile come lo sguardo di Matt Damon.
Un film senz’altro da vedere, che però in altre mani (come in quelle di Coppola ad esempio, che tra l’altro è uno dei produttori) probabilmente avrebbe potuto convincere molto di più.
In attesa degli altri due capitoli della trilogia.
Commenti del pubblico







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