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Dal romanzo di Andrew Kevin Walker. Ci sono sette delitti ispirati ai sette peccati capitali. Un obeso (la gola) viene ucciso col cibo. Un avvocato famoso per l'avarizia, prima di essere ucciso è stato costretto a mangiare un pezzo di se stesso. E così via per le altre vittime, che vengono uccise secondo la pena del contrappasso rispetto agli altri peccati capitali: accidia, superbia, ira, lussuria, invidia. Incaricati delle indagini sono il giovane Pitt e il vecchio Freeman. Il primo è arrabbiato e insofferente, l'altro fatalista e metodico. Pitt ha anche una moglie che aspetta un bambino, ma lui non lo sa. Indagano in un'atmosfera di violenza inverosimile, quasi inedita... |
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Gola, avidità, accidia, lussuria, superbia, invidia, ira: quale tra questi può definirsi oggettivamente un peccato? Nessuno. Per questo John Doe è grottesco agli occhi dello spettatore: la sua dimensione di criminale, di pazzo, cancella quella di servo di un Dio paradossalmente intento a punire l’uomo per quelle che sono le sue caratteristiche, quindi immagine e somiglianza divina.
Ad auto-assegnarsi il ruolo di giustiziere è, emblema del nome, un americano qualsiasi: gettata la maschera, l’americano qualsiasi rimane un semplice criminale, un mitomane col mito più pericoloso di tutti, quello che non accetta contraddittorio.
Sulle sue tracce una ‘fresca’ coppia di ispettori, complementare al punto tale da riassumere tutti i cliché del genere poliziesco-investigativo: uno anziano e prossimo alla pensione, l’altro giovane, appena trasferito, uno nero uno bianco, uno acculturato e con atteggiamento filosofico-pessimista, l’altro ignorante e impaziente fino all’ira (che poi altro non è se non rabbia e desiderio di vendetta). Dai duetti tra i detective nascono chicche notevoli, “Dante e il suo amico” o “Delitto e castigo: è sugli omicidi?”, abusato invece il “Non l’ho visto”, questa volta in riferimento al Mercante di Venezia.
Il discorso si allarga con l’intrusione nel rapporto tra i due poliziotti della moglie di Mills, un’aggiunta nella trama che sembrerebbe immotivata ma prende consistenza – e come – nel finale.
Oltre all’ottima interpretazione dei due protagonisti (quella di Morgan Freeman è forse la migliore della sua carriera, Brad Pitt ha continuato, da allora, nella sua evoluzione) è da sottolineare la fotografia cupa, in linea con un thriller diviso tra interni, spesso senza luce artificiale, ed esterni sotto la pioggia, che trova respiro proprio nella sequenza finale. La mano di Fincher, già regista di “Alien 3”, si vede soprattutto nelle scene in interni, che un buon ritmo e la musica rendono funzionali allo scopo principale, tenere sempre in allerta lo spettatore. E’ molto azzeccata la scelta della musica che da sottofondo della biblioteca (non è casuale l’accoppiata Dante-Vivaldi) diventa colonna sonora delle sequenze successive.
Infine, un appunto sulla battuta finale di Somerset, che dichiara di condividere la seconda parte di una frase di Hemingway; quella del detective è una frase ad effetto, ma priva di significato: se il mondo non fosse un bel posto, non varrebbe la pena di lottare per esso. |
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Un cult del genere, supportato da un cast di prim'ordine e da una storia sempre avvincente.
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Un buon noir con una trama incentrata sulla realizzazione da parte di un serial killer di sette omicidi: una macabra opera, di cui si considera l'artista, sul tema dei sette peccati capitali. I due protagonisti, uno appena arrivato e uno in attesa della pensione interpretati da Brad Pritt e Morgan Freeman, sono incaricati delle indagini per fermarlo, in base agli indizi che lui lascia nella stanza di ogni vittima per condurre a quella successiva e svelare particolari sul proprio conto. Indubbiamente coinvolgente, ha un finale a sorpresa del tutto spiazzante, che ne ha segnato senz'altro il successo e ne giustifica pienamente la visione. Aldilà dell'effetto del momento però, non tutto si incastra come dovrebbe.
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film praticamente perfetto, attori in stato di grazia, regia magnifica e storia esemplare. E cosa rara uno dei finali piu belli della storia del cinema.
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