La traduzione italiana “Complicità e sospetti” è, in realtà, una variazione sul titolo originale, che parla invece di breaking ed entering, ovvero di rotture e ingressi. I due concetti sono un riferimento ai furti che Will (Jude Law) e il suo socio Sandy subiscono nel loro studio a King’s Cross, ma anche un semplice richiamo metaforico a un equilibrio (problematico) che viene spezzato e che permette un nuovo inizio, ma anche una ricostruzione che rafforza ciò che già esiste.
Tutto è ambientato nella multietnica Londra, in un quartiere che sta vivendo una vera e propria trasformazione urbanistica e sociale. Il regista Mingella, noto ai più per “Il paziente inglese”, è di famiglia italiana ed è sposato con una donna cinese. Ha pertanto voglia di descrivere la “sua” Londra e i tanti mondi che si incontrano vivendo lì. La questione immigrazione, quindi, vista non solo come problema ma soprattutto come fonte di interesse, senza troppo distacco. Nello specifico Juliette Binoche interpreta Amira, una bosniaca madre del piccolo ladruncolo Miro che farà innamorare di sé Will, nonostante incarni un’idea di donna molto più semplice della moglie Liv. Semplicità e impulsività, dunque, viste come fonte d’interesse, di confronto e anche di riscoperta della propria identità.
L’idea di base sembra esserci e per di più il film sembra essere diretto con estrema padronanza. Ciò che convince meno è senza dubbio la sceneggiatura – la prima originale per il regista inglese – che caratterizza molto i personaggi e gestisce molto bene i carichi e taglienti momenti di silenzio, ma piuttosto male quelli parlati: seccanti prostitute che filosofeggiano, antipatiche donne delle pulizie che citano Kafka, buone frasi riflessive alternate ad altre improbabili e francamente mediocri.
“Complicità e sospetti” è un film drammatico che ammicca alla riflessiva commedia amara e che ci lascia con una soluzione finale che non soddisfa e non potrà mai colmare l’eterna solitudine che sembra avvolgere i protagonisti di questa nostra moderna malinconica società.
Note di merito per scenografia, fotografia e per una colonna sonora “giusta”. Gli attori lavorano ordinatamente, probabilmente grazie anche alle precedenti esperienze con il regista sia di Jude Law che di Juliette Binoche, ma sembrano mai totalmente complici con il personaggio con il quale sono constretti a “confrontarsi”. L’impressione generale è che Anthony Minghella sia piuttosto capace, molto padrone della macchina da presa e con buone idee per le inquadrature, ma forse un po’ vittima dei nove premi Oscar ricevuti nell’ormai lontanissimo 1997. |