Prima di vedere questo apprezzabile film-documentario, sarebbe opportuno conoscere la singolare idea di cinema che ha Lars (von) Trier, fondatore di un eccentrico e provocatorio movimento cinematografico, il Dogma95, che nei sui dieci anni di esistenza (1995-2005) ha dato vita a una quarantina di film, talvolta alquanto interessanti (vedi “Idioti”, “Festen” o “Italiano per principianti”) ma decisamente “contrassegnati” dal decalogo del movimento stesso. Solo in questo modo si può perdonare l’evidente antipatia del perverso e geniale regista danese e accettare di buon grado questo narcisistico ma illuminante “Le cinque variazioni”.
Tutto ha inizio da un vecchio cortometraggio intitolato “L’essere umano perfetto”, diretto dal regista danese Jorgen Leth alla fine degli anni ‘60. Von Trier ne è innamorato e decide così di attuare un gioco diabolico che prevede la realizzazione, da parte del regista originario, di cinque variazioni sul tema, ogni volta con ostacoli diversi (non a caso il titolo originale può essere tradotto con “I cinque impedimenti”). Così come, per Bob Dylan, dietro la bellezza c’era sempre un qualche tipo di dolore, per Lars Von Trier dietro l’opera d’arte – e un film concepito come tale – c’è sempre un conflitto intellettivo, una ricerca interiore per oltrepassare limiti imposti ma anche autoinflitti. E il suo scopo, in effetti, viene mostrato al meglio. L’allievo Trier omaggia il maestro Leth ma soprattutto pone domande molto interessanti sulla creazione artistica e sulla libertà espressiva ed estetica nel cinema ma non solo. Spettacolarizza il potere e contemporaneamente lo demolisce, evidenzia l’impossibilità di imbrigliare il talento, ci parla di rapporto tra etica e arte, ribadisce la centralità delle idee, esalta l’indipendenza di spirito ma ricorda l’essenzialità dei punti di riferimento. Ne “Le cinque variazioni” la tecnica è dunque proposta come un qualcosa al servizio dell’esplorazione del linguaggio filmico, utile a svelare e a nascondere, coinvolta nella creazione di un mondo fittizio nel quale tutti noi ci ripariamo poichè spaventati dal reale.
Dopo questa ora e mezza, l’unica cosa di cui si è certi è che se esiste un “essere umano perfetto”, di certo non è Lars von Trier. Ma lui lo sa bene. Non è, forse, proprio questo il suo punto di forza? |
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