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Michel, è orgogliosamente convinto di essere al di sopra della giustizia e del resto dell'umanità. Diventa borsaiolo di professione e insieme a due complici frequenta luoghi affollati, come l'ippodromo e la stazione, dove compie i furti. Incurante dei consigli dei suoi amici Jeanne e Jacques viene arrestato. Quando Jeanne va a trovarlo in carcere, Michel si rende conto di amarla. |
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La vicenda d’un uomo castrato dalla necessità di affermare la propria individualità, eppur predestinato alla redenzione ed alla salvezza, è raccontata da Bresson col solito distacco, ma una freddezza quasi eccessiva; alle ‘vive’ riflessioni del giovane, lasciate di volta in volta alla voce fuori campo o a pagine di diario, come nei due film precedenti dello stesso regista, corrispondono azioni meccaniche, affrontate tutte con la stessa apatia. L’inespressività del volto di Michel permette alla cinepresa di muoversi altrove, concentrandosi sulle sue mani dapprima tremanti, quindi sempre più sicure e veloci.
Alla messa in scena del tentativo d’autodistruzione di Michel lo spettatore assisterebbe impassibile, non meno del protagonista che lo attua e subisce al contempo, se non fosse per i frequenti salti narrativi: i bruschi cambi di scena e l’elisione di fatti determinanti per il mutamento della storia permettono al tema di fondo del film di rilanciarsi continuamente, fino a risolversi nel finale. Finale che vede Michel aggrapparsi a Jeanne riconoscendo in lei l’unico legame rimastogli con le realtà, e scoprendo in se stesso la capacità di amare; il carcere rappresenta la redenzione minima per un uomo che ha trovato la propria libertà senza cercarla, andando anzi costantemente nella direzione opposta. |
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