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James Gragory è un uomo bianco, nato e vissuto in Sudafrica e mosso da profondi sentimenti razzisti nei confronti dei suoi connazionali di colore. James lavora come secondino nel carcere di Robben Island dove è stato rinchiuso il leader della lotta all'Apartheid Nelson Mandela. Grazie alla sua conoscenza della la lingua Xhosa gli è stato affidato il compito di sorvegliare il rivoluzionario e i suoi compagni di prigionia per spiare di nascosto le loro conversazioni. Le parole di Mandela faranno breccia nel cuore dell'aguzzino che da persecutore si trasformerà in fervente sostenitore di un Sudafrica democratico con uguali diritti per bianchi e neri. |
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Attorno ad uomini come Nelson Mandela è impossibile tracciare un disegno biografico preciso e armonico che funzioni in ogni aspetto e riesca a trasmettere l’incredibile profondità della sua vita. Bisogna cercare solo di raccontare qualcosa, accontentandosi degli aspetti meno noti, e limitarsi ad offrire una visione umile e sincera e crediamo che il film abbia questo pregevole merito.
Bille August sceglie di tralasciare la storia complessa del politico Mandela per entrare nel regno dell’intimità; svela l’uomo, invisibile a molti, che combatte 27 anni nel silenzio dei suoi pensieri.
Tratto dalle memorie del carceriere di Nelson, il film non cerca di imporre le drammatiche vicende di un paese ma sottolinea la titanica grandezza di un uomo, spesso debole, malato, terribilmente solo ma comunque in grado di essere esempio e mito al tempo stesso. Così come specchio e interlocutore ideale appare il secondino James Gregory, l’altro protagonista invisibile della storia che incrocia il suo destino proprio con la grandezza del suo carcerato. La parafrasi della sua vita è reale e dimessa, ai margini come spesso lo sono le vite degli uomini umili, semplice per volontà ma capace nell’ombra di divenire grande e di trasmettere i riflessi magnetici di Nelson, degli Afrikaner sottomessi, di un mondo che troppo spesso prende l’opposta direzione del buon senso e della vita.
Non è importante che il regista de “La casa degli spiriti” abbia tralasciato la complessa trama storica di un periodo terribile e fin troppo noto; ma è invece da apprezzare il tono intimo del racconto, dove il protagonista non è Nelson Mandela ma il riflesso che quest’ultimo crea nel suo carceriere.
James è un semplice militare eppure il suo destino è identico a quello di Nelson anche nella morte tragica dei loro figli, dove colpe e colpevoli oliano perfettamente la macchina sadica del dolore, spesso cieco e invisibile, ma costante e sempre presente.
Joseph Fiennes si ricorda di essere un attore, tralascia il faccione di “Shakespeare in Love” e finalmente trova grinta, labbra gonfie e un ruolo importante, insegnandoci che la vita non è solo prima linea ma anche e spesso oblio.
Mandela nelle sue memorie racconta che senza James forse non sarebbe sopravvissuto.
Pura letteratura o realtà? Ci piace credere che la storia sia anche un disegno basso, di coloro che nascosti filtrano la luce degli illuminati, anche quando veri e propri eroi come Nelson Mandela. |
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