Una vendetta che deve essere compiuta, la piccola Yuki nata nella prigione di Tokyo per vendicare i suoi genitori e il rumore inconsistente della neve, che avvolge tutto. Per compiere la sua missione due regole fondamentali: «abbandonare qualsiasi sentimento che non sia rancore», secondo gli insegnamenti di un anziano Samurai e uccidere a sangue freddo.
La vicenda si snoda in 4 capitoli, amalgamati dalla voce di un narratore invisibile. Così Fujita Toshiya illustra con maestosità il contesto storico e politico di un Giappone di fine Ottocento, dalle tinte pastose e autunnali. Il Paese dei bambini che giocano in cerchio, a piedi nudi sul legno polveroso. Il vento e il volare confuso delle foglie che sbatte sui corpi di Yuki e del suo maestro a renderli eterni. L’obiettivo che si sazia delle inquadrature di una donna bellissima. La calma e il portamento di lei, così distanti ed estranei alla nostra cultura e così affascinanti. La presentazione delle vittime nel mirino della guerriera… che passano in rassegna con un fermo immagine, come i combattenti di un videogioco, con una scritta ignota a nominarli. E il continuo ritorno a scene del passato, che il regista rivisita svelando ogni volta particolari diversi, contribuiscono a contraddistinguere la pellicola, compresa nella tradizione dei film di arti marziali degli anni ’70. Il sangue è ovunque, in grande quantità, macchia i vestiti e la neve, e quei volti che racchiudono il candore della porcellana. Sgorga in corsa, come un getto, scrosciante e rosso all’inverosimile. E seppure a mano a mano più splatter, in modo perfino ironico, non sminuzza una pellicola in cui il mare agitato e le fantasie ricamate sui kimono fanno il loro gioco per renderla insolita e seducente.
Chi ha avuto modo di apprezzare il primo volume di Kill Bill di Tarantino non può non apprezzare Lady Snowblood. I due film si avvicinano per la trama, la struttura in capitoli e la meravigliosa canzone Shura No Hana interpretata da Meiko Kaji. L’unica differenza è che uno è nettamente più recente dell’altro e copia, dichiarandolo, gli zoom in avanti e le inquadrature dal basso di lei, che sovrasta la sua vittima, schiacciata dal peso insostenibile dell’odio: riflesso in tutti quei momenti in cui la macchina da presa cattura lo sguardo dei personaggi. Nessuno escluso. Lady Snowblood è come il palcoscenico di un antico teatro orientale, sempre in moto e in cambiamento, di fronte al quale è estromesso qualsiasi tipo di noia. Ed è proprio un sipario a porre fine a questa magistrale rappresentazione, con un’alba che cambia colore e pone inizio ad un nuovo giorno. |