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Monica e Raul sono madre e figlio. Lei, una cantante di un’orchestra di liscio, sempre in giro ad esibirsi nei locali della zona e concentrata più sulle relazioni con i suoi numerosi uomini che sul suo ruolo di madre e lui, un vivace bambino di 12 anni, bisognoso di una figura paterna. Dopo essersi accorto che sua madre non è felice, Raul si mette alla ricerca dell’uomo perfetto, presentandole addirittura il suo insegnante di musica, Antonio Medri. Forse però trovare la persona giusta non è così semplice come può sembrare agli occhi di una bambino… |
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In apertura tutto può far credere di essere di fronte ad una pellicola per nulla spiacevole. Le note spensierate che accompagnano un funerale risuonano insolite: un trucco delicato per mostrare la morte di un uomo che saluta la vita suonando con allegria. Peccato però accorgersi subito che sta iniziando un “canto” fin troppo spensierato, che a tratti può risultare pretenzioso nelle tematiche e senza stile né trasporto.
Il soggetto del film è scontato e retorico e i dialoghi intrisi di banalità. Queste carenze non facilitano di certo i due protagonisti: una Laura Morante cantante, poco mamma e altrettanto poco attrice e suo figlio Raul, il piccolo Umberto Morelli, suonatore di clarinetto “per finta” e alla ricerca di qualcuno che colmi il vuoto lasciato da suo padre. Antonini, a lavoro insieme a Campogiani e De Feo alla sceneggiatura, sembra però non preoccuparsi troppo di dirigere la resa attoriale dei suoi interpreti. Fa guardare nell’obiettivo l’inesperto Morelli togliendo a volte qualsiasi accenno del personaggio; gli fa pronunciare frasi noiose e quando non c’è, ma anche quando c’è, inserisce la sua voce fuoricampo, che non riesce a tener viva l’attenzione e va ad indebolire una pellicola già non molto convincente. L’ingegno del regista è adottato nel cercare espedienti narrativi e linguistici: rallenta le immagini, crea ellissi temporali, usa degli stacchi di buio nei cambi di inquadratura, tenta qualche tocco di varietà espressiva quando Raul e i suoi compagni spiano con la telecamera i professori dentro e fuori gli orari di lezione, ma tutto trascina nell’inattendibilità di un cinema di fiction.
La voce della Morante, nonostante tutto l’impegno in questa nuova veste da vocalist, non ha passione e ad emergere, nelle sequenze canore, è l’elogio alla sua bellezza da parte di un regista preoccupato di accentuare le sue mature e attraenti rotondità al punto di eccedere nel cambiarle abito ad ogni scena.
Nelle ultime sequenze la fotografia di Gian Enrico Bianchi, alla ricerca di poeticità, regala un po’ di mare e alletta lo sguardo, ma tutte le problematiche di cui si fa carico il film non acquistano profondità e restano irrisolte… rimane in chiusura solo il pensierino dubbioso di un bambino “firmato” sullo schermo. |
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