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Spagna, primi anni '70. La polizia sta cercando in tutti i modi di sbaragliare senza successo il Movimiento Ibèrico de Liberaciòn (MIL), un gruppo di estrema sinistra composto da giovanissimi militanti spagnoli e francesi che per finanziarsi commette furti e rapine. Lo stop alle azioni del movimento arriva con una trappola messa in atto dagli agenti della Brigata Socio-Politica, che dopo un conflitto a fuoco riescono ad arrestare uno degli attivisti, Salvador Puig Antich. Dopo l'assassinio da parte dell'ETA del capo del governo franchista, l'Ammiraglio Carrero Blanco, il ragazzo diventa il capro espiatorio da sacrificare agli occhi degli esponenti del regime e a nulla servono i disperati tentativi della famiglia, dei suoi compagni e dei suoi avvocati per evitare la sua esecuzione. Il 2 marzo 1974, Puig Antich 26 anni, viene giustiziato con la garrota, passando alla storia come l'ultimo prigioniero politico a subire questo sistema barbarico. |
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Il 2 Marzo del 1974 lo Stato spagnolo giustiziava Salvador Puig Antich; il suo nome ha fatto il giro del mondo, destando ovunque enorme impressione: il franchismo, l’espressione peggiore del potere nel secondo ‘900 del vecchio continente, si accanisce su un ragazzo di 26 anni per dare sfogo non tanto alla vendetta per la morte di un poliziotto né per quella di Carrero Blanco, quanto alla frustrazione per la propria, imminente fine.
Anarchico in un posto dov’era giusto essere anarchici, Salvador non vive né muore da eroe: uno spettatore della sua età non può che provare empatia per quel ragazzo così normale, che in un momento così buio della storia del suo Paese si è trovato, quasi senza rendersene conto, da una parte della barricata. La parte è quella di un’opposizione armata (ma non violenta, almeno nelle intenzioni) al regime: non serve il beneplacito della Storia per chiamarla Resistenza, il Caudillo era un cancro e si sapeva, che Hitler o Mussolini fossero peggio non è una giustificazione.
Manuel Huerga ha 17 anni quando la garrota fa di Salvador Puig l’ultima vittima del franchismo (in realtà una delle ultime, ma la più eclatante): ci ha messo più di 30 anni per assimilare questa barbarie, per trovare la lucidità per fare questo film. Un film che non può essere un atto di denuncia, ma una testimonianza, forte, di quell’evento.
Sceglie però la strada più facile, attraverso una regia emotivamente coinvolta prima che coinvolgente, al punto da indispettire lo spettatore che dovrebbe avere la pretesa di poter scegliere per cosa commuoversi (e il motivo per farlo ci sarebbe tutto): Huerga condisce il film di tutto ciò che non serviva, rinunciarvi avrebbe comportato una scelta sofferta, ma in più di 30 anni c’è stato il tempo per maturarla.
Il prodotto finale rimane di buon livello, Daniel Bruhl è bravo nel rendere Puig il più normale possibile (forse un po’ troppo forte al momento dell’esecuzione, ma è plausibile che Huerga si sia attenuto alle testimonianze ufficiali); la storia è divisa in due, tra il racconto della vita ‘libera’ e il presente da detenuto, insistendo a lungo sul rapporto con il secondino – ma questa è una scelta in linea con l’intento ‘movendi’ del regista.
Rimane, di tutta la storia, il grido partecipe di Huerga: questo film è quello che Salvador non voleva essere, una scritta sul muro. |
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