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Recensione: Io, l'altro

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Io, l'altro
titolo originale Io, l'altro
nazione Italia
anno 2006
regia Mohsen Melliti
genere Drammatico
durata 80 min.
distribuzione 20th Century Fox
cast R. Bova (Giuseppe) • G. Martorana (Yousef) • M. PupellaD. Lo VerdeA. LuongoS. ZibidiL. Besrat Assefa
sceneggiatura M. Melliti
musiche L. SicilianoR. Colavalle
fotografia M. Calvesi
montaggio M. Spoletini
uscita nelle sale 18 Maggio 2007
media voti redazione
Io, l'altro Trama del film
Due amici: uno italiano, l’altro tunisino. Giuseppe e Yousef sono due pescatori che trascorrono le loro giornate su una piccola imbarcazione, Medea, comprata insieme per rivendicare un’attività in proprio, dopo tanti anni trascorsi alle dipendenze di un padrone. Sono i giorni caldi dell’attentato a Madrid e delle ricerche del possibile terrorista indiziato di aver fatto esplodere le bombe nella capitale spagnola. Quando i due pescatori apprendono la notizia in radio saranno messi a dura prova perché il nome del sospettato corrisponde esattamente a quello di Yousef. Vincere pregiudizi e paure non sarà facile, per entrambi.
Recensione “Io, l'altro”
a cura di Vera Usai  (voto: 5)
Io” Giuseppe, onesto cittadino italiano, e “l’altro” Yousef, lo straniero, estraneo alla nostra cultura: il nemico. «Due figli del popolo, due figli di Dio», che vivono «in una terra devastata dalla guerra» in cui non puoi dire mai di conoscere chi hai di fronte. Questa l’idea portante del film di Melliti, che gioca bene con le scene in apertura e nel finale, con i flash di un piccolo volto scuro al centro dell’obiettivo, a fare i conti con il riflesso della propria immagine sullo specchio.
Le premesse sono buone: il film vuole essere elogio alla diversità tra i popoli partendo dalla storia di due amici, Giuseppe-Yousef (e l’omonimia non è casuale: due uomini, stessa vita), modesti pescatori nel mar di Sicilia. La mano di Melliti, anche impegnata alla sceneggiatura, però allenta la presa e si perde per 80 minuti, con lentezza, tra i flutti. Il mare fa da sfondo ai litigi armati; alle news via radio che riflettono di continuo su conflitti culturali; ai “doppi” articoli di giornale, strappati e smentiti senza troppa convinzione, come la “condanna” di terrorista islamico per Yousef-Martorana (“Quando sei nato non puoi più nasconderti”), che uccide qualsiasi pietà nell’amico Giuseppe-Bova (“La finestra di fronte”) e nel pubblico la voglia di capire come stanno davvero le cose. Tutto su una barca: sospetti, pregiudizi, visioni, personaggi da terrorismo che… fanno un po’ ridere con Bin Laden che si incarna nel Padre Pio di un santino appeso nella cabina di guida: un effetto forse non proprio ricercato.
Il regista vuole rendere la claustrofobia di un incubo nato da una giornata come tante altre, si impegna con la macchina da presa nel ricercare un tocco attoriale con inquadrature dondolanti di volti in primo piano e il mare che compare e scompare; velocizza musiche e movimenti di ripresa quando a salire è la tensione ma l’obiettivo da raggiungere è ancora lontano. Neanche i dialoghi aiutano i due attori, impegnati ma a volte poco decisi. Non deve essere semplice tenere testa ad un copione in cui tutto quello che si vorrebbe far trapelare è taciuto e quello che si poteva evitare è sfoggiato come esempio di sincerità e verosimiglianza che scade in una volgarità a tratti dosata con misure sbagliate. La parte finale è la migliore di tutto il lavoro, con un uomo che piange in silenzio e un inno arabo, estraneo alla sua cultura, che si alza ad amplificare quel dolore, umano e viscerale.
Dispiace solo che un progetto dedicato “alle vittime del terrorismo” rimanga in balia delle onde e il messaggio, anche se è chiaro, non dà turbamenti.
«Che razza di religione è la vostra? Che minchia di Dio è uno che ti dice di ammazzà la gente?!. Dio e Allah la stessa cosa precisa è».
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