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Tom Dobbs, celebre comico di satira politica, decide di presentarsi alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti e contro ogni aspettativa le vince. Tuttavia, la sua vittoria è frutto di un guasto nel sistema informatico per la votazione che è stato realizzato dalla Delacroy, una società privata le cui azioni in borsa stanno avendo ottimi risultati. Per evitare il crollo finanziario, l'azienda decide di tenere nascosto il guasto ma una zelante programmatrice, Eleanor Green, è fermamente decisa a far conoscere la verità al neo-Presidente. |
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Un comico che diventa presidente. E’ forse il sogno inconfessato di Beppe Grillo e di Sabina Guzzanti. Da noi, infatti, se n’è discusso molto: il ruolo della satira, i confini tra comicità e politica. L’uomo dell’anno di Barry Levinson (Good Morning Vietnam, Rain Man, Liberty Heights) si immagina proprio questo, un anchorman di un programma televisivo di successo, Tom Dobbs (Robin Williams), si candida e vince le presidenziali americane. Il suo show affronta temi di attualità, una sorta di telegiornale satirico, (qualcosa di simile al David Letterman Show). Le sue critiche al sistema sono feroci, lui con le sue battute lancia accuse durissime, poi una spettatrice lancia l’idea: “candidati tu!”. La provocazione diventa realtà quando una mobilitazione straordinaria impone la scelta a colpi di e-mail (un tempo si sarebbe chiamato il popolo dei fax). La campagna elettorale fa emergere le differenze tra i due canditati tradizionali, Dobbs rompe gli schemi e fa immaginare una rivoluzione alla Casa Bianca, non accetta i fondi per finanziarsi, denunciando la corruzione e l’eccessivo potere delle lobby. Tutto fantastico, un po’ sogniamo anche noi. Ma l’attenta analista Eleanor Green (Laura Linney, Love Actually, Kinsey) si accorge che qualcosa non va nel software utilizzato per contare i voti. La società di cui fa parte la licenzia per insabbiare il caso. Ma lei riesce a raggiungere Tom Dobbs per dimostrargli la falla nel sistema. La rivelazione è sconvolgente: il comico non ha affatto preso la maggioranza dei voti, quel risultato è frutto di un errore informatico. Il riferimento è senza alcun dubbio alla prima elezione di George W. Bush, allora, infatti, il sistema di voto elettronico fu messo sotto accusa, alimentando molti sospetti sui risultati definitivi.
Barry Levinson non è nuovo a questo tipo di film, già in Sesso e potere aveva utilizzato la parodia della politica statunitense. In l’Uomo dell’anno l’idea di partenza è molto intelligente, il sistema politico più stabile del mondo viene scosso, non dall’arrivo della dittatura, non dallo sbarco degli alieni, ma dalla candidatura di un personaggio completamente fuori dall’etichetta. Robin Williams ha una notevole carica umoristica e il film deve a lui la brillantezza iniziale. Ritmo veloce e battute divertenti, però, non durano a lungo. Quando dalla commedia si passa al thriller si scade in maniera precipitosa. La caricatura della politica diventa una brutta copia di centinaia di storie già raccontante (molto meglio per giunta) da tantissimi film e romanzi. La fuga della ragazza onesta dai malvagi capitalisti è farsesca e del tutto inverosimile. L’uomo dell’anno è una commedia che sembra graffiante, ma non lo è affatto anche per colpa di un finale che si rivela un trionfo del politicamente corretto, non in sintonia con la piega che il film sembra prendere in partenza. Peccato perché le cose da dire erano molte, se si fosse soltanto evitato di scadere nella mediocrità dei buoni sentimenti. Se il tono non precipita completamente parte del merito va alla bravura di Cristopher Walken, nella parte del manager di Tom Dobbs. |