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Recensione: I giochi dei grandi

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I giochi dei grandi
titolo originale We Don't Live Here Anymore
nazione Canada / U.S.A.
anno 2004
regia John Curran
genere Drammatico
durata 105 min.
distribuzione Bim Distribuzione
cast M. Ruffalo (Jack Linden) • L. Dern (Terry Linden) • N. Watts (Edith Evans) • P. Krause (Hank Evans)
sceneggiatura L. Gross
musiche L. BarberM. Convertino
fotografia M. Alberti
montaggio A. de Franceschi
uscita nelle sale 22 Aprile 2005
media voti redazione
I giochi dei grandi Trama del film
Professori di college in una piccola città universitaria, Jack Linden e Hank Evans sono buoni amici, vanno a correre tra una lezione e l'altra e vanno al pub dopo il lavoro. La moglie di Jack, Terry, è la migliore amica della moglie di Hank, Edith, e i quattro stanno spesso a cena insieme, serate queste in cui, una volta che i bambini sono andati a dormire, il vino scorre a fiumi e ascoltano i loro dischi preferiti. Ma gli Evans e i Linden non sono le coppie felici che sembrano. A Jack e Terry i problemi di avere due bambini e di provare a far quadrare i conti, si sono portati via la passione di un tempo. E Hank, la cui unica vera passione è la scrittura, pur amando sua figlia e la sua vita familiare, di fatto non è così interessato alla monogamia. Viste le circostanze, per cercare di trovare un modo per far funzionare il suo matrimonio, Edith si rivolge a Jack in cerca di un po' di conforto. Quello che comincia come una divertente relazione sessuale si trasforma in una serie di tradimenti che costringe tutti e quattro a confrontarsi con un enorme disastro emotivo. Presentato al Sundance Festival.
Recensione “I giochi dei grandi”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 6)
"Fateci attenzione, è un pugno nello stomaco del conformismo regolarizzato."

Qui o altrove, non sono più esseri viventi. Saggi e maturi sono solo i bambini, segnati già dalla mancanza di rispetto e amore. Jack, il cowboy in bicicletta che scorrazza da una donna all’altra, Hank nella sua egoistica “pelle” di scrittore, Edith in una bolla d’acqua, Terry in quella di vino. Sono solo i figli a rimanere sull’orlo del precipizio come alla fine, rischiano di cadere a causa dei genitori
Tratto da due racconti di Andre Dubus (il racconto omonimo e "Adultery"), il film racconta complicità, bugie, crudeltà che accompagnano le storie di quattro personaggi, nel cui centro galleggiano rapporti di amicizia delusi, frustrazioni professionali, sensi di colpa e lucide strategie di sopravvivenza.
Jack e Hank, due insegnanti in una cittadina universitaria americana, sposati, con figli, sono molto amici fra loro. E così le loro mogli, fino a dar vita a un quartetto molto affiatato. I matrimoni di entrambi, però, scricchiolano, così la moglie di Hank, sentendosi trascinata dagli eventi, cerca conforto in Jack e presto farà lo stesso, con Hank, la moglie di Jack. I quattro amici sprofondano, giorno dopo giorno, in una sorta di apatia: la passività degli atteggiamenti sembra essere l'unica soluzione per una dolce morte della coscienza...Tutti sembrano avere le proprie ragioni, burattini che si muovono in un piccolo universo senza senso, ma nessuno, in questi ménage incrociati, è senza colpa.
Sospetti, intuizioni, ammissioni; con il rischio di crisi molto aspre, il regista australiano John Curran ha serrato da vicino, in modo quasi frenetico, le due coppie. Ne ha studiato, fino allo scontro, i contrasti psicologici, dando incisivo risalto alle continue contraddizioni che li attraversano. Ignorando quasi la cornice esterna, una verde provincia, e non soffermandosi neanche su quegli interni domestici appena un po’ indicativi della mentalità e degli usi di quanti vi si muovono. Con un gusto invece quasi claustrofobico per le immagini buie e avare di spazi, privilegiando gli sguardi in modo da farvi leggere, il più possibile, consapevolezze e reazioni.
Il tutto forse con eccessiva insistenza e ritmi perciò troppo ravvivati e sostenuti, ma il risultato è un racconto essenziale giocato sulla parola più che sull’azione. Complice è il montaggio che perde i “referenti” in una serie interminabile di “falsi raccordi”. Lo sguardo è instabile, illusorio, incapace di districarsi nell’ambiguità delle relazioni. I volti si accavallano e si confondono come fossero pedine interscambiabili nella spietata geometria dei sentimenti.
Migliore sceneggiatura al Sundance Film Festival (2004).
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Utente di Base (7 Commenti, 85% gradimento) angelonero 5 Gennaio 2012 ore 17:07
voto al film:   5,5

Utente di Base (40 Commenti, 27% gradimento) andrea_cavax 6 Novembre 2011 ore 21:14
voto al film:   7

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