Las Vegas, da città del gioco, si sta trasformando nella città del cinema: a due sole settimane dall’uscita italiana di “Ocean’s Thirteen”, la stessa Warner Bros lancia “Le regole del gioco”, stessa ambientazione, stesse immagini dalla città di notte (su tutte i protagonisti che ammirano i giochi d’acqua della stessa fontana), minor fascino: qui i soldi non si rubano ma si vincono, e soprattutto si perdono, con una facilità che, se da un lato potrebbe incoraggiare il gioco d’azzardo (gli americani non se ne fanno certo un cruccio), dall’altro riabilita la banda di Ocean, che sgobba molto di più per lo stesso obiettivo.
Qui il protagonista è uno solo, ed è malato: Hack (il nome intero è Huckleberry, quasi inutile sottolineare la citazione da Mark Twain, con il padre che prima abbandona il figlio e torna quando ci sono di mezzo dei soldi) gioca, è il suo divertimento, il suo lavoro, la sua mania. E’ tanto spavaldo al tavolo da gioco – al punto di perdere sempre quello che ha vinto – quanto sulla difensiva nei rapporti con le persone, con lo stesso risultato. E’ affascinante perché bello (o almeno, lo fanno passare per tale) e perché legato a un mondo che attrae e stordisce, ma oltre c’è ben poco: non parla altro che di gioco, il mondo intorno scompare mentre è impegnato, ma anche quando ci pensa solamente. Da un lato c’è la figura del padre, nella piacevole interpretazione di Robert Duvall, un personaggio il cui atteggiamento sempre bonariamente ironico (qui forse è il limite dell’attore, che dimentica un aspetto non secondario del ruolo) stride con l’astio che Huck prova nei suoi confronti. Dall’altro lato completa la trinità Billie, ‘scesa’ a Las Vegas per cercare lavoro come cantante (ma la sua funzione è quella di redimere Hack): la ragazza, più carina che intelligente, riesce ad assicurarsi la futura infelicità accanto ad un uomo quale Hack, che la farà soffrire esattamente come ha fatto nel film; proprio per questo il film s’interrompe nel momento in cui almeno il conflitto col padre sembra arginato e lo spettatore ha il biscottino del lieto fine.
Nonostante la felice scelta di mostrare soltanto le carte di Hack, per creare empatia tra spettatore e protagonista, “Le regole del gioco” è troppo lungo, finendo per ripetersi e per stancare proprio sul più bello, quando iniziano le World Series; è divertente assistere ai cameo ed alle vere e proprie partecipazioni di alcuni tra i più famosi professionisti del Texas Hold’em, ma si rimane basiti di fronte ad errori marchiani quali l’ematoma sul viso di Hack, che nella scena nel bagno cambia guancia, ai quali nella versione italiana si somma un doppiaggio insolitamente insoddisfacente. A parte il tavolo finale, nel quale la voce dello speaker è doppiata da Fabio Caressa, commentatore del World poker Tour su Sky. Lo spettatore aficionado si scalda, non Huck, che non va nemmeno a prendersi la coppa. |