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Lei è Stacey, lui è Mark e sono profondamente innamorati. Sono lì fuori dal tempo e dallo spazio, nella fattoria di Mark. In quelle pianure sconfinate fatte di albe e tramonti, dove aleggiano "presenze" misteriose. Stacey è felice, il suo amore per Mark la fa sentire viva e realizzata. Poi un giorno Mark muore, tuttavia lei sa che lui non l'abbandonerà mai. Sogna una notte con Mark, un'unica, meravigliosa notte d'amore, che sembra "reale". Nasce Martin. Stacey inizia a vivere in una dimensione irreale, dove la realtà si confonde con l'immaginazione e coi ricordi. "E se Martin fosse il figlio del fantasma?" |
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Dopo dieci anni di assenza (quasi 20 dal cinema) torna dietro la macchina da presa Lamberto Bava: da sola, la notizia di un filmmaker degli anni ’80 che sente il desiderio di riprendere un discorso apparentemente chiuso, è già importante. Se poi si considera che “Ghost son” fa parte del genere thriller-horror che ha caratterizzato il cinema di Bava (con diverse collaborazioni con Dario Argento) e non di quello delle sue serie TV degli anni ’90 si può – anzi, si deve – tirare un sospiro di sollievo.
In un periodo nel quale siamo invasi da horror di serie Z (dai remake dei remake dei remake di film brutti fin dall’originale ai pretenziosissimi e vuoti film del tipo di “Silent Hill” o “I segni del male”), alza la voce un autore, uno dei pochi, che il genere lo conosce bene e sa come lavorarci.
Sarebbe più corretto ascrivere “Ghost son” al genere thriller-paranormale, ma ormai le modalità di costruzione dell’horror moderno non sono distinguibili da quelle del thriller: è forte il gusto per i rumori improvvisi che anticipano le immagini e fanno necessariamente saltare sulla sedia lo spettatore, per le inquadrature da prospettive insolite che ben presto si capisce essere il punto di vista di un fantasma – a questo proposito va dato il merito a Bava di iniziare dopo la morte di Mark, sembrerebbe logico ma spesso non è così.
La storia, purtroppo, è in linea con le trame pseudo-ridicole dei film citati poco sopra: un grande amore finisce con la morte di lui, il suo spirito cerca in tutti i modi di ricongiungersi alla sua amata facendo morire anche lei; nel frattempo nasce un figlio, una ragazzina dice di vivere insieme alla madre morta, una coppia di anziani spiega alla ‘sprovveduta’ americana (il film è ambientato in Africa, naturalmente la casa infestata è isolata, nella savana) come gli spiriti si rapportano ai vivi che li invocano... Il finale è paradossale: c’è ironia, almeno si spera, nel far scomparire il fantasma semplicemente dicendogli ‘non ti amo più’; c’è mancanza di idee, invece, nel chiudere con Stacey che ammette di esserne ancora innamorata. Innamorata di uno che ha cercato di uccidere lei e suo figlio, ha ammazzato una ragazzina (a questo proposito ci si potrebbe chiedere perché lei è tornata in America invece di essere arrestata, visto che nessuno crede alla storia dello spirito) e che è morto da più di dieci anni? De gustibus. |