Quattro registi, con la supervisione del produttore esecutivo Quentin Tarantino (che firma anche l’ultimo episodio), più un sacco di interpreti famosi non bastano fare un film indimenticabile; ma “Four Rooms” non è nemmeno un bel film, purtroppo. Uscito nelle sale nel 1996, quando Tarantino era l’acclamata e osannata nuova stella di Hollywood, deve molto del suo successo alla presenza del regista americano; che sa attrarre da par suo una serie di collaboratori di rilievo in tutti i reparti. Tra esse spiccano chiaramente gli attori: da Bruce Willis, a Jennifer Beals, ad Antonio Banderas, quasi sfrontatamente sprecati in ruoli marginali, come un lusso inutile, una ostentazione di un credito cui il regista di “Pulp Fiction” vuole evidentemente dare fondo senza troppe riserve (non a caso succederà lo stesso un anno dopo, quando Robert De Niro, per fare solo un nome, si scomoderà per partecipare al bel “Jackie Brown”). Una cosa è sicura: rispetto ai tre primi, innocui episodi, nell’ultimo si vede la paternità di un autore di talento. La macchina da presa non stacca quasi mai, usa tutte le prospettive, anche le più eterodosse (come la breve sequenza a livello pavimento, volutamente antiestetica) per fare di una stanza, per quanto grande, di un albergo un set adeguato quantomeno per un cortometraggio. Ed è vero anche che l’ironia, un tutt’uno con Sigfrido-David Proval, lo stralunato ragazzo d’albergo alla sua prima, indimenticabile notte di lavoro, è una traccia costante e unificante dei quattro capitoli; il nonsense, il disordine totale del racconto che travolge Sigfrido e lo sballotta da una stanza, a un corridoio, ad un’altra stanza, senza che si possano nemmeno immaginare né un capo né una coda, testimoniano che i registi-sceneggiatori si sono voluti essenzialmente divertire, o comunque non prendersi tanto sul serio. Ma questo significa anche che sarebbe provocatorio attribuire al film caratteri di genialità. Non c’è surrealismo, non c’è Buñuel; ci sono quattro giovani uomini i cinema che giocano un tempo di venti minuti ciascuno, mettendo in campo i loro mezzi diseguali. Sono al limite divertenti i cameo e le citazioni, ma esse soddisfano la curiosità spicciola, non le esigenze cinefile. Madonna, vestita, non sembra una grande attrice; me sue compagne streghe, vestite un po’ meno, le rubano sicuramente la scena. |
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e invece a me questo film, pur con i suoi ovvi difetti (primo fra tutti, ovviamente, la disomogeneità tra i 4 episodi), è piaciuto abbastanza. se il primo episodio è effettivamente da buttare, gli altri hanno secondo me la loro particolarità e il loro perché, se non sempre nella realizzazione almeno nell'originalità delle idee proposte. naturalmente il migliore è l'omaggio tarantiniano a Hitchcock, e con l'occasione consiglio a tutti di andarsi a recuperare la sua, di scommessa...
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