|
|
Kenneth Zevo, ormai prossimo alla morte, decide di lasciare in eredità al fratello, ex generale in pensione, la sua attività: un’imponente fabbrica di giocattoli in cui i dipendenti lavorano divertendosi. L’ex generale Leland prende le redini del bizzarro stabilimento insieme al figlio, deciso di voler costruire degli insoliti balocchi per scopi non proprio pacifici. Leslie, il bislacco figlio di Kenneth e la sua robotica sorella Alsatia, con l’aiuto dei vecchi giocattoli della loro infanzia, si muoveranno per ostacolare i loschi piani dello zio e tenere alti i valori tanto professati in vita dal padre: gioia e innocenza sempre e per tutti! |
|
|
|
“No alla guerra”: sembra questa la bandiera sventolata dalla pellicola di Barry Levinson. Il regista, di nuovo sul grande schermo a maggio con Robin Williams “uomo dell’anno”, sceglieva già nel ’92 quest’interprete d’eccezione. In “Toys”, il biondissimo e discreto Williams veste i panni di un bislacco figlio di papà, che va matto per le etimologie delle parole ed è affetto dalla sindrome di Peter Pan… inguaribile per chi è immerso nel regno dei balocchi di famiglia. Al suo fianco nel film la strampalata sorellina Alsatia (Joan Cusack) – a rispolverare, il giorno del lutto paterno, gli abiti della dark-Winona dello “spiritello porcello” timburtoniano – più brava e convincente di tutto il cast. I due insieme faranno lunghe chiacchierate, canteranno, giocheranno e si troveranno in un inconsueto scontro con lo zio, generale così prode che proprio nel momento più acceso di una “ludica” battaglia, ordina un tè con otto zollette di zucchero. Scherzetti e sandwich imbottiti di vitamine e maionese; personaggi strambi e stereotipati con battute divertenti, sature di buoni valori e maliziose al punto giusto; piani anti-spionaggio contro ladri di progetti di giochi; l’ideazione top-secret della “più piccola grande armata del mondo” e ancora la promessa di un amore, sospirata tra palazzi di cartone. Questo e musica e colori e fantasia e molto altro ancora è “Toys” , in cui ad ogni fotogramma siamo immersi nelle accattivanti scenografie d’arte di Ferdinando Scarfiotti, a cui tanto di cappello per ridicolizzare piacevolmente personaggi e situazioni… strizzando l’occhio a Magritte – con pioggia di “uomini con bombetta” nella messa in scena di un video musicale – e per creare cerchi di carri armati, ripresi dall’alto, a mo’ di balletto meccanico. Scelte stravaganti quelle di Levinson, non troppo efficaci per via di una trama stirata e poco decisa nella direzione, ma la pellicola può sfoggiare un tocco avvincente, che ricalca lo stile da commedia sentimentale, con influssi action-movie, che toccano il thriller e il romantico, sempre con un alone onirico: poetico o in tensione secondo le note inserite ad alterarne il tono.
L’antimilitarismo sembra alla fine del film la sua unica possibile chiave di lettura. È servito a qualcosa parlare di guerra e di bambini catturati da milioni di pixel in movimento di fronte ad uno schermo!? …la risposta si sa, purtroppo. Non resta che far finta di non vedere la prevedibilità di questo lavoro e commemorarne le possibili buone intenzioni. |