Terza fatica di un progetto cinematografico a più riprese che sembrava non dover trovare più fine. È il 1992 quando a prenderne in mano le redini è un esordiente David Fincher, regista apprezzato in seguito per “Seven” e “Fight Club” e a maggio di nuovo sul grande schermo con “Zodiac”, tra i film più attesi di tutta la stagione 2007. Ricoprendo il posto che nel lontano ’79 era stato di Ridley Scott e poi di James Cameron, nell’episodio fine anni Ottanta dello “scontro finale”, qui Fincher si lascia prendere un po’ troppo la mano: se il primo “Alien” dosava con equilibrio azione e attesa, caricando sulla seconda e dando ampio spazio all’immaginazione e alla suspance; il secondo già comincia a scadere per sprofondare, nella terza puntata, in un abisso oscuro, avvolto in un misticismo esibizionista e prolisso. Schierati in primo piano: il solito ufficiale Ripley (Sigourney Weaver), con qualche capello “in meno” ma sempre attraente, più impavida del solito e portatrice lei stessa di un embrione gelatinoso; i detenuti di una colonia penale di massima sicurezza dislocata sul pianeta Fiorina 161, increduli e scettici davanti al male che sta per abbattersi su di loro… e questa volta la strana creatura davvero non scherza. Potente e imbattibile più del solito, ma anche troppo prevedibile… da far presagire chi sarà la prossima vittima già prima di colpire. La colpa non è di certo sua: è la regia a peccare ripercorrendo, senza originalità né invenzione, quello che in precedenza già altri avevano inscenato, sfruttando rallenti e ammaliando lo spettatore (ma senza creare il disorientamento sperato) con una macchina da presa in rotazione che capovolge le sequenze degli inseguimenti nei soliti condotti di aerazione, più bui e fumanti del solito.
L’impianto psicologico di “Fight Club”, a cui Fincher lavorerà 7 anni più tardi, comincia qui a far scorgere una piccola, quasi impercettibile presenza – nonostante forse diverse intenzioni. Gli uomini sono di fronte ad un pericolo... un’entità che è altro da loro e con la quale, inesorabilmente, devono fare i conti. Male che diventa incubo, che diventa ossessione e immobilizza qualcuno, porta ad un confronto con la propria immagine riflessa allo specchio qualcun altro e punta ad un taglio da thriller fanta-psicologico. Tutto è comunque eccessivo e il regista non economizza su effetti speciali e su androidi dalle sembianze umane e umani dalle sembianze androidi.
Ma a chiudere l’avventura manca ancora la clonazione finale… |