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Romania. Otilia et Gabita, due studentesse universitarie, si trovano a vivere una rischiosa circostanza. Gabita è incinta ma è decisa a non portare avanti la gravidanza nonostante interromperla sia illegale. Per aiutarla, Otilia si mette in contatto con il sig. Bebe, un uomo che può risolvere il problema. |
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Il vento dell’est che da qualche anno soffia sui principali festival europei sospinge questo film rumeno fino alla Palma d’oro. Una vittoria a sorpresa che non sorprende più di tanto, come se le alchimie all’interno delle giurie festivaliere dessero sempre lo stesso risultato: “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” richiama, nei suoi silenzi, nei momenti d’attesa e nella pacatezza con la quale è rappresentato il dolore, il vincitore di 2 anni fa, “L’enfant”. Uscendo dai confini del Festival di Cannes, il film di Christian Mungiu rimane saldamente all’interno dei suoi confini geografici, di una cinematografia dell’Europa ex-comunista che guarda alle persone, alle loro vicissitudini e al superamento delle difficoltà del semplice vivere quotidiano, uno specchio più o meno limpido nel quale si riflettono regimi prossimi al collasso. Gli ambienti, l’atmosfera, la città, le stesse persone devono molto al “Decalogo” di Krysztof Kieslowski: Polonia e Romania della seconda metà degli anni ’80 sono rappresentate allo stesso modo, in nome sì di una vicina cultura cinematografica, ma soprattutto di una stessa idea della vita (molti aspetti li possiamo ritrovare anche nei film più recenti che mostrano Berlino Est prima della caduta del muro).
“4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” (4 lune, nel titolo originale) è il tempo della gravidanza di Gabita nel momento in cui decide di interromperla: essendo illegale, con l’aiuto della compagna di stanza Otilia si rivolge al signor Bebe (una “Vera Drake” senza alcun intento filantropico). Bebe, Gabita, Adi il fidanzato di Otilia, ma soprattutto quest’ultima: per dodici ore le loro strade si incrociano, e ad ogni scontro si fanno sempre più male. A farsene di più, può sembrare un’esagerazione, è Otilia (molto brava Anamaria Marinca, un gradino sopra a Laura Vasiliu), la più intraprendente, che sente col passare del tempo – e delle disavventure – la tensione crescere fino alla lite con Adi e ai due viaggi notturni, fino al tentato faccia a faccia finale con l’amica. Gabita non ne esce bene, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere con un giudizio morale sull’aborto; sono il suo atteggiamento, le sue risposte irritanti o quelle false a complicare la vicenda. Il comportamento dei due uomini sembra un riflesso degli errori delle due ragazze, ma ciò che colpisce profondamente è il contrasto con il clima di solidarietà che si respira nello studentato, che sembra introdurre, all’inizio del film, una realtà nella quale l’aiuto del prossimo bilancia la povertà diffusa.
E’ apprezzabile la scelta di raccontare la vicenda con linearità, scegliendo di volta in volta quale personaggio seguire e rinunciando a mostrare cosa accade nel mentre; alcuni particolari sembrano inutili, ma si tratta della coraggiosa rinuncia ad inserire in un film soltanto gli elementi funzionali allo sviluppo della storia: così tanto il coltello rubato da Otilia, quanto il documento dimenticato da Bebe, rimangono particolari di scarso rilievo all’interno di un quadro generale. L’uso della telecamera a mano ha i suoi vantaggi nelle scene all’aperto, quando il regista cammina con Otilia, ma negli spazi statici (e stretti) della stanza d’albergo perde di significato, pur facilitando l’immedesimazione nei personaggi dei quali spesso assume il punto di vista.
Nei dialoghi, infine, si ha la sensazione di quanto “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” riesca a riprodurre la realtà: la conversazione durante la cena per il compleanno della madre di Adi è un piccolo capolavoro di ironia e veridicità, così come le liti tra Otilia e il ragazzo generate dai problemi (reali e preventivati) di lei e dall’incapacità – tutta maschile – che ha Adi di capire ciò che Otilia non dice. |
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Capace di scalzare registi molto più blasonati come i Coen, Fincher e Kusturica, Mungiu è stato la rivelazione a Cannes 2007. In realtà non si tratta di un caso isolato, perchè il cinema dell’europa dell’est, in particolare quello romeno, ha raccolto recentemente grandi consensi a livello internazionale (l’anno scorso “Il caso Kerenes” ha vinto l’orso d’oro a Berlino). 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni è un film crudo, asciutto ed essenziale, che racconta con estrema durezza la Romania che sotto il regime di Coeausescu sembra aver perso ogni dimensione morale (il delicato tema dell’aborto è al centro della vicenda ma funge soprattutto come simbolo di un dramma sociale più ampio). La forma spoglia, quasi documentaristica, con lunghi piani sequenza e camera a mano, potrebbe inizialmente disorientare, ma col passare dei minuti fa crescere la consapevolezza del dramma imminente, e l’interminabile cena finale porta la tensione a livelli altissimi. Dolorosa sorpresa, non un film per tutti.
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Lo vidi casualmente l'anno scorso incuriosita dal titolo, non sapendo nemmeno di cosa parlasse. La sorpresa è stata crudissima. Un bel film.
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