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Chersogno è un paesino sulle Alpi Occitane italiane abitato ormai solo da persone anziane che sopravvivono grazie al turismo estivo. Una ventata di novità arriva quando un ex professore francese vi si trasferisce con la sua famiglia alla ricerca di uno stile di vita bucolico e solitario. L'uomo si trasforma in pastore e inizia un'attività casearia. I nuovi arrivati e la loro impresa risvegliano negli abitanti sentimenti contrastanti. L'integrazione è difficile e il rapporto con la 'diversità' diventa il cardine della narrazione in cui affiora la sensazione che, come dice uno dei personaggi: "Le cose sono come il vento, prima o poi ritornano." |
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Digitale senza farsi scoprire, la regia di Giorgio Diritti inventa poetici spazi d’azione nel glaciale silenzio delle Alpi occitane, dove le parole sono sommesse e sempre sospette.
In questa Italia costretta spesso da se stessa a umiliarsi nell’incontro con l’altrui, ecco inserirsi Philippe Heraud, un francese, uno straniero in terra straniera, un uomo che cerca se stesso allontanandosi da se, fuggendo a Chersogno, paesino sperduto e spopolato delle Alpi Piemontesi con attorno a lui un nucleo familiare composto da gioco e silenzi, sorrisi e molta incomprensione.
Il suo viso esprime dolore e consapevolezza, non è semplice percorrere una strada che forse non è la nostra, un esilio sentito, non certo formale, ma troppo avvolto dal silenzio, da una costrizione, quasi da un desiderio, mai ammesso, di espiazione.
Diritti racconta, indaga, ascolta ogni minima reazione; Philippe ha i suoi occhi, il suo passo, il tempo della regia, rispetta il suo pensiero ed emerge stile: digitale e intimo, svela, non confonde nulla e incide con i colori le fredde armonie visive del ghiaccio occitano. Quel bianco che avvolge lo sguardo e la pellicola di delicatezza e abisso, dove il calore cerca di sciogliere sia il paesaggio esterno sia l’interno dell’animo umano, dove muta continuamente la sensazione espressiva.
La storia suggestiona e trascina, declina caratteri e psicologie precise, ricche di sfumature, di sceneggiatura occitana, di espressioni rugose e carnali.
Ogni personaggio è in potenza un nostro possibile pensiero, sviluppa al suo interno quello che lo spettatore parallelamente sente osservando il film; riesce in simbiosi a dichiarare a se stesso di avere uno scopo, una trama, un dolore da esprimere e una sensazione da provare, non importa se malinconica come Philippe, muta come la moglie Chris, cinica come Fausto o ancora crudele come la paura di essere giudicati, di essere trauma prima ancora che gli eventi accadono.
La musica è costante, un tema fisso bellissimo e semplice, descrive stati d’animo e paesaggi, alterna il suo ritmo da intimo a eroico, interpreta l’immagine e rende la visione più profonda, stimola insieme più corde sensoriali e impreziosisce un film già preziosissimo.
Si ha l’impressione che dietro la cinepresa ci sia un cineasta consumato, invece scopriamo sorpresi che è il primo lungometraggio del bolognese Giorgio Diritti e che il cinema italiano ha dei margini nascosti da svelare, da valorizzare e soprattutto da sostenere.
Vincitore di numerosi Festival tra i quali la prima edizione del ‘nostro’ Est Film Festival. |
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Commenti del pubblico |
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