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Arthur e Lola, fidanzati da cinque anni, sono invitati a cena da una coppia di amici che colgono l’occasione per annunciare le loro nozze imminenti. Anche l'altra coppia di invitati presenti, insieme da appena pochi mesi, decide d’impulso di sposarsi. Lola decide così che è il momento di dare una svolta alla relazione e il frastornato Arthur, da sempre avverso al matrimonio e alle convenzioni sociali, si trova quasi obbligato a porre la fatidica domanda. Dopo molte discussioni, che li portano anche a separarsi per un breve periodo, Arthur, innamoratissimo di Lola, si lascia convincere che sia possibile sposarsi senza cadere nei soliti cliché. |
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Il matrimonio è per antonomasia un momento traumatico. Il cinema di tutti i tempi ne ha indagato a fondo tutti i risvolti, spesso drammatici. Al ricco elenco di film sull’argomento si aggiunge il francese “Finché nozze non ci separino” (il titolo originale, “Le plus beau jour de ma vie”, è stato cambiato perché nella traduzione in italiano risultava identico a un film di Cristina Comencini), commedia firmata da Julie Lepinski, sceneggiatrice e autrice tv al primo lungometraggio in carriera. Arthur (Jonathan Zaccaï) e Lola (Hélène de Fougerolles) sono fidanzati da cinque anni, due coppie di loro amici annunciano le nozze, così Lola prova invano a convincere Arthur a compiere il grande passo. Lo sforzo, però, è vano, nonostante il grande amore che li lega, il rifiuto del ragazzo porta la relazione allo sfascio. Proprio al matrimonio degli amici i due decidono di rimettersi insieme e di sposarsi. Iniziano così le lunghe e complicatissime pratiche per arrivare al fatidico giorno. Le disavventure cominciano a scalfire il desiderio dei promessi sposi, le famiglie si frappongono con le loro assurde pretese, il peso della tradizione e un passato segreto emerge lasciando il segno.
Così dalla commedia si passa al grottesco. I risultati però non sono buoni. Il ritmo del film è molto alto, ma a parte qualche rara eccezione si ride pochissimo e le situazioni risultano sempre banali e poco appassionanti. La morale della favola è che anche i più trasgressivi finiscono per rimanere vittime delle convenzioni, che mai come in queste occasioni emergono. Non si tratta propriamente di una teoria innovativa.
L’intento evidentemente era quello di individuare manie e assurdi riti della preparazione al matrimonio scherzandoci su, ma non si può proprio dire che il risultato sia stato raggiunto. Pur con qualche battuta azzeccata, “Finchè nozze…” non riesce a graffiare mai. Quello che manca in fondo è quello che si richiede a film leggeri e spensierati come questo: la critica al costume, la satira, anche bonaria, sui tic della società, sulle psicosi collettive che si scatenano nella semplice preparazione a una cerimonia. Per fare questo non bisogna per forza guardare ai mostri sacri del passato (la commedia all’italiana, o ai drammi familiari), basterebbe prendere un film recente, semplicissimo, ma intelligente come “Il giorno più bello” di Stefano Cappelli (che in realtà è stato girato dopo “Finché nozze…”). Qui invece trionfa il luogo comune e senza divertire. Così, anche un cast frizzante non emerge dalla mediocrità generale. |
