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Claudia lavora in un'agenzia di viaggi e la sera studia russo. Una sera al corso di russo si presenta un nuovo insegnante di origine ucraina, Boris, un quarantenne di bell'aspetto e dall'aria intelligente. Tra Boris e Claudia nasce poco a poco un'attrazione. Una sera di fine luglio torna a farsi vivo Boris, con uno scopo preciso: deve trovare un posto dove sistemare una cugina venuta dall'Ucraina a cercare fortuna. Claudia, titubante, alla fine accetta di ospitarla per pochi giorni, ma allìimprovviso Olga sparisce. |
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“Come l’ombra si stacca dal corpo, come la carne si stacca dall’anima, così io voglio essere dimenticata” sono i versi della poetessa russa Anna Akmatova, che chiudono il film; vorrebbero sintetizzare il destino di Olga, arrivata in Italia nella desolazione dell’estate e scomparsa tra i pilastri e le lamiere dei cantieri di una città in inarrestabile e incomprensibile espansione. Estate in russo è sinonimo di felicità: ma Milano d’agosto con la felicità ha poco in comune. Il sole spento, le strade vuote, le giornate tutte tristemente uguali a quelle già trascorse e a quelle che verranno, comunicano al contrario una claustrofobica assenza di orizzonte che non lascia posto a nessuna gioiosa speranza per Olga, né per chi le sta intorno. E’ brava la regista Marina Spada a costruire l’immagine della città in maniera aderente ad uno stato dell’anima: le sue prospettive sulle distese di palazzi tutti tanto diversi tra loro quanto ugualmente brutti, i suoi silenzi così evocativi dei silenzi della città, svuotata non solo degli abitanti, hanno una certa forza comunicativa. La città non è il luogo delle possibilità ma della solitudine, illuminata dalle luci al neon anziché da quelle delle stelle; e non sembra esserci rimedio.
Meno brava è, la regista, nella costruzione del racconto: lavorando per sottrazione ha ricercato l’essenzialità, ma ha trovato l’inconsistenza. I suoi protagonisti non riescono a definirsi sufficientemente, schiacciati da una trama labile e da dialoghi talvolta troppo scarni, talvolta troppo banali. Se possibile, questo viene accentuato dalla radicale scelta stilistica: macchina da presa sempre immobile, in una serie di fotografie animate in cui il racconto è fatto vivere come sul palcoscenico di un teatro. Se all’inizio l’esperimento può sembrare interessante, in poco tempo si trasforma invece in una sorta di condanna: alla noia, per lo spettatore, e alla piatta non comunicatività, per il film. Chiaro che la semplicità non può andare a discapito del senso artistico; e in questo caso è facile pensare che la regista abbia sbagliato la misura. Se è vero che il non detto può essere più importante dell’esplicito, in “Come l’ombra” il rischio tangibile è che si finisca per non dire nulla. Gli attori non sono indimenticabili, e questo conta: non sono stati però nemmeno sostenuti da una sceneggiatura sufficientemente coinvolgente (di Daniele Maggioni) e che fosse in grado di cimentarli con interpretazioni forti. Milano d’estate è particolarmente brutta: dopo il film, quelli che erano ancora indecisi se partire o meno per le vacanze non avranno più dubbi. |