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Riduzione cinematografica dell'opera di Mozart. Ai tempi della Prima Guerra mondiale, Tamino intraprende un avventuroso viaggio alla ricerca dell’amore, della luce e della pace in un mondo devastato dalle tenebre, dalla morte e dalla distruzione. Una misteriosa quiete scende su un paesaggio ancora non colpito dal conflitto, mentre Tamino attende ansiosamente l’ordine di entrare in battaglia. Nel caos che ne segue viene trasportato in un mondo oscuro, fra sogno e incubo, dove viene salvato da morte certa da tre infermiere di campo. Quando Papageno (il responsabile dei canarini che venivano usati per scoprire la presenza di gas nelle trincee) irrompe in scena e si attribuisce il merito di aver salvato Tamino, le Sorelle incaricano i due soldati di una missione molto pericolosa: devono salvare Pamina, figlia della Regina della Notte, rapita da Sarastro, signore delle tenebre. Quella che ne segue è una spettacolare avventura musicale nella quale il destino dei due giovani amanti potrebbe decidere il destino di intere nazioni e la vita di milioni di persone. |
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Con un salto di qualche millennio, Kenneth Branagh decide di ambientare “Il flauto magico” durante la Prima Guerra Mondiale: l’idea di trasporre un’opera in un’epoca successiva all’opera stessa è un azzardo che paga, in fin dei conti il punto di partenza è una fiaba e il ’15-’18 vale come l’antico Egitto. Non c’è intento di sottolineare l’universalità di una storia, come potrebbe sembrare a priori: l’operazione di Branagh è un semplice e azzeccato susseguirsi di idee, perlopiù cinematografiche, sul tema dell’opera mozartiana.
Non si tratta di una ‘riduzione cinematografica’, come viene semplicisticamente detto: è una trasposizione, integrale, dell’opera sullo schermo; l’unica differenza (non lieve e non indolore) è nella lingua, con la scelta della traduzione inglese del libretto di Schikaneder e Giesecke. Poco male, è la musica che conta.
L’Ouverture è splendida: un’unica sequenza, un unico lunghissimo movimento di macchina tanto incredibile quanto finto, realizzato al computer ma, prima ancora, nella testa del regista; quando finalmente stacca, con l’esordio del primo atto lo stile è esageratamente frammentato, creando un controcanto nell’operazione di montaggio. Branagh si diverte con lo spettatore, proponendogli effetti impossibili o spassosi, su tutti le due arie della Regina della Notte e il duetto Papageno-Papagena; ci tiene però a ricordare che non sta giocando con la musica, ma con l’opera (e fa bene, “Il flauto magico” va letto in chiave comica) e con il cinema, con una citazione – forse casuale – dal recente “Joyeux Noël ” ed una esplicita, al punto da ripeterla, da “Orizzonti di gloria”, un atto dovuto nei confronti del film più importante della storia sulla Prima Guerra.
Gli elogi maggiori Branagh li merita, come accennato, nella sua lettura dell’opera di Mozart: dopo Bergman è costretto a proporre qualcosa di originale e vi riesce con una leggerezza che il maestro svedese non ha mai voluto avere; corretta la scelta di mostrare la presunta relazione tra la Regina della Notte e Sarastro, probabile padre di Pamina. Inoltre, più che sul contrasto sole/notte, Branagh insiste su quello tra le due figure, entrambe positive e premiate dal lieto fine, di Tamino e Papageno, sottolineando con marcati virtuosismi gli aspetti comici del secondo, i suoi insuccessi e la non rilevanza, sul piano morale, di questa antitesi. |
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Commenti del pubblico |
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