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Recensione: Mr. Brooks

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Mr. Brooks
titolo originale Mr. Brooks
nazione U.S.A.
anno 2007
regia Bruce A. Evans
genere Drammatico
durata 95 min.
distribuzione Buena Vista International
cast K. Costner (Mr. Brooks) • W. Hurt (Marshall) • D. Moore (Detective Attwood) • D. Cook (Mr. Smith) • J. Lewis (Guy) • S. Coulter (Roger) • M. Helgenberger (Mrs. Brooks)
sceneggiatura B. EvansR. Gideon
musiche R. Djawadi
fotografia J. Lindley
montaggio M. Wright
uscita nelle sale 5 Ottobre 2007
media voti redazione
Mr. Brooks Trama del film
Un uomo d'affari apparentemente senza macchia e pieno d'amore per la sua famiglia, in realtà nasconde una seconda identità. Affetto da schizofrenia, il suo alter ego é uno spietato serial killer al quale sta dando la caccia un'intraprendente detective.
Recensione “Mr. Brooks”
a cura di Vaniel Maestosi  (voto: 5)
Dio mi conceda la serenità di accettare quello che non posso cambiare

Ambientato quasi esclusivamente in notturna, il film racconta di un maniaco assassino per cui infliggere la morte non è più un piacere ma un bisogno forse addirittura fisico.
L’uomo dell’anno della Camera di Commercio di Portland: Mr. Earl Brooks è anche, non conosciuto, il famigerato “killer delle impronte”. Il personaggio immaginario alter ego con cui Brooks dialoga si chiama Marshall.
L’istinto del crimine viene visualizzato come doppio lato, uno oscuro interno e uno che appare pulito e convincente. C’è un dualismo simile ai dubbi Gollumiani ma qui bene e male non combattono, appaiono e convivono lucidamente; insidiando dentro di noi l’inquietante riflessione che un codice nero mentale possa essere trasmesso geneticamente.
La figlia di Brooks scappa improvvisamente dal college, dove successivamente si scoprirà un omicidio, entra nel film senza percorso e trascina con se pregi narrativi come un’interessante sottorama ma contemporaneamente inizia a illuminarne anche i difetti lampanti.
Se la regia, esordio di Bruce A. Evans, crea una giusta tensione e diabolicamente riesce quasi a farci accettare il suo protagonista, la sceneggiatura fallisce: piena di buchi, non si concentra, non focalizza e non produce altro che disordine extranarrativo, portando in superficie una serie infinita di sottotrame, spesso irrilevanti se non addirittura banali o inutili.
Il pregio della breve durata, nei canoni del classico thriller, non basta a evitare al film un continuo singhiozzo, dove spesso filo e interesse si perdono miseramente.
Costner, alter ego Hurt e una semprebella Demi Moore s’impegnano, ma sono fuori parte o forse risentono dei continui ridondanti scossoni che la seconda parte del film imprime senza però mai incidere.
In America certo cinema è puro colpo di scena; qui però in un’ora e mezza ce ne vengono presentati quasi una ventina e alla fine non sappiamo più quale sia stato, se c’è stato, quello veramente importante e non provando stupore usciamo dal cinema confusi e delusi esattamente come questo film.
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