La locandina (la mano del defunto che sbuca fuori dalla fossa facendo un paio di corna) già mette in guardia chi si aspetta di vedere confermato il luogo comune sul carattere sofisticato della commedia inglese; il film non smentisce l’aspettativa che questo tipo di pubblicità può aver creato. Lo stile “American Pie” esce ancora vincente, cavalcando la consueta comicità demenziale e di grana grossa fatta di nani, escrementi, allucinogeni, nudità (stavolta, incredibilmente, solo maschili) e una scorrettezza programmatica: che c’è di più blasfemo che scherzare coi morti? E dopo la carnevalata, immancabilmente, vengono fuori i buoni sentimenti: arriva un figlio, la vita ricomincia e tutti imparano qualcosa. Come ha giustamente scritto Paolo Mereghetti, c’è una non indifferente dose di conformismo anche dietro alle trivialità più enormi, che spunta giusto in tempo per rimettere le cose al loro posto: come dire, è stato tutto uno scherzo, bene rientrare nei ranghi. Ma senza esasperare questa pur evidente ambiguità di messaggio, ci si deve semplicemente porre la questione se il film, al di là della convenzionalità del soggetto, faccia ridere. La risposta è sì, ma con moderazione. Il regista, Frank Oz, è un veterano di Hollywood, ma dirige in modo sostanzialmente anonimo. Lo sceneggiatore, Dean Craig, è per parte sua un esordiente, e non è difficile accorgersene per via della meccanicità di molti passaggi narrativi. Ma altre cose sono migliori: la scena della rivelazione sulla seconda vita del morto, in cui per la prima volta Daniel (Matthew Macfayden) si accorge, nello studio del padre, di tutti gli indizi che aveva sotto gli occhi e a cui evidentemente non aveva mai dato peso, è davvero un’ottima trovata. E piace il fatto che il film non cali di tensione col procedere della trama, anzi sia sicuramente migliore nella seconda parte, con l’accavallarsi degli eventi fino al botto finale davanti alla bara. Gli attori non sono indimenticabili; i due comprimari Peter Vaughan e Peter Dinklage, invece, se la cavano più che bene. Può far pensare il fatto che, in un film che gira attorno a un morto, la morte sia in effetti così poco presente, nelle singole battute come nello spirito complessivo della rappresentazione: sarebbe interessante sapere se si tratta soltanto di una scelta stilistica. |