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Il film racconta la vicenda di due amanti nella Shanghai anni Quaranta, occupata dalle truppe dell’esercito giapponese. Lui, Mr.Yee è un collaborazionista; lei, Wang Chiah-chih è una studentessa e bravissima attrice che collabora con i compagni cinesi della Resistenza, con i quali ha predisposto un’astuta trappola per “catturare” Mr. Yee: diventare la sua amante e insinuarsi nella sua vita per disarmarlo e poi ucciderlo. Wang però non è una spia e non è addestrata a tal punto da vivere una così intensa passione senza rimanerne lei stessa disarmata… L’unica soluzione sarà quella di immolarsi per salvare i suoi sentimenti. |
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“Non vado quasi mai al cinema. Ho paura del buio”, afferma in una battuta Mr.Yee, interpretato con grande trasporto in “Lust, Caution” dall’attore asiatico Tony Leung. Non dev’essere stato così per Ang Lee, che di sicuro di film ne deve aver visti molti prima di creare un suo cinema che, per richiamare le sue parole, “racconta ed esplora le vite degli altri”. Il regista taiwanese per la 64a Edizione della Mostra del Cinema torna al Lido - che lo ricorda vincitore nel 2005 con “Brokeback Mountain” – pronto a mostrare i fotogrammi di una storia di passione e di ideali patriottici, intensa e senza rilevanti debolezze. Per questo “Se jie” (titolo originale della pellicola) conquista il pubblico e il Leone D’Oro. Ang Lee sfoglia le pagine romanzate della scrittrice cinese Eileen Chang e prende ispirazione per la sua vicenda: parte dalla Shanghai del 1942, occupata dalle truppe giapponesi e ricca di fermenti politici, che riproduce con precisione di particolari e vellutata fotografia. Mr. Yee e la bella Wang Chiah-chih (l’esordiente Tang Wei) si incontrano, seduti ad un tavolo da gioco e si muovono per quegli esterni brulicanti di folla e di intrighi politici nascosti agli angoli delle strade, fin nelle stanze d’albergo. L’impressione è quella di un regista che li lascia agire e si sofferma ad osservarli, fino in profondità, per cogliere, nei momenti di più violenta passione la loro interiorità. Lo spettatore segue con desiderio la macchina da presa che a volte si ferma ad ammirare paesaggi quasi fiabeschi, restituiti sullo schermo in tutta la loro immobilità.
Wang e Mr. Yee sono divergenti per ideali e inconsci dell’impeto del desiderio al quale ogni volta si ritrovano più legati. La regia di Lee li scopre piano, con una pacatezza che, tradotta temporalmente, si muove in 2 ore e 36 minuti, non trascurabili, di pellicola e visivamente, ci guida per mano nell’esistenza dei personaggi, facendoci ascoltare i loro sentimenti, con una carica di realismo – così contestato dalla critica – da far sembrare che, in alcuni punti, il filtro stesso della macchina da presa svanisse e la finzione cinematografica lasciasse il posto all’esperienza reale.
Ciò che si coglie da questa pellicola è forse un sincero bisogno di omaggiare la figura femminile, ripresa in tutta la sua sensualità e carica interiore, a discapito dell’uomo che, come uno dei compagni di Wang, durante quelle confessioni così intime, non riesce a sostenere lo sguardo ed esce dall’inquadratura e come lo stesso Mr. Yee che, al rintocco tagliente delle campane, sembra essere ferito da una lama, dopo aver sacrificato i suoi sentimenti per gli alti ideali patriottici… un sacrificio che, con l’impronta rossa delle labbra, lasciata su una tazza di caffè, era stato presagito già molte sequenze precedenti. |
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