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La vera storia di Salomon Sorowitsch, falsario e bohemien, che nel 1944 accetta di aiutare i nazisti in un'operazione di contraffazione organizzata per aiutare a finanziare lo sforzo bellico. Nel campo di concentramento di Sachsenhausen, due baracche vengono isolate e trasformate in un attrezzatissimo laboratorio in cui lavorano i prigionieri. Per i 'falsari', non si tratta solo di salvare la vita, ma anche la coscienza... |
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"La carità in primo luogo dovrebbe essere per sé stessi"
Non è più una novità che negli ultimi anni in Germania una certa cinematografia abbia (finalmente) deciso di affrontare con dignità e coraggio una delle sue pagine storiche più vergognose e difficili da raccontare. Dopo La caduta, La rosa bianca e Mein Fuhrer -sebbene quest’ultimo ”solo” in chiave umoristica- è la volta de “Il falsario - Operazione Bernhard” firmato da Stefan Ruzowitzky e tratto dal libro autobiografico (non ancora uscito in Italia) di Adolf Burger, nel film interpretato da August Diehl, "The Devil's workshop".
Il film racconta un episodio poco conosciuto della seconda guerra mondiale: il tentativo da parte di Hitler di sabotare l’economia americana e britannica falsificando in quantità industriale le banconote dei due paesi. In pochi mesi un gruppo di detenuti ebrei (stampatori, grafici, tipografi…) riuscirono a contraffare 130 milioni di sterline e a stampare i primi dollari, pochi giorni prima che gli Alleati arrivassero a liberare Berlino. La tragica situazione di queste persone vive della inevitabile scelta perversa tra vita e morte, sopravvivenza e morale, istinto e ragione: una perversità che fondendosi con l’opportunismo riflette l’essenza stessa del nazismo, abile all’occorrenza nel trasformare le vittime della propria follia in carnefici. Lo sguardo del regista viennese non limita a posarsi sul campo di concentramento, cercando compassione o facile retorica, ma prova a indagare la psicologia e i sentimenti dei prigionieri che vi sono rinchiusi, riuscendo a rimanere sempre fuori dai binari dell’ovvietà. Il personaggio di Salomon Smolianoff, uomo buono nonostante il suo cinico individualismo grazie al quale riesce a "sapersi adattare ad ogni circostanza" avversa che gli si presenti davanti, è dipinto con tratti eleganti e chirurgici al tempo stesso, sebbene soffra della volontà di Ruzowitzky di non voler mai assumere una posizione precisa di fronte agli eventi raccontati. In questo modo ne esce fuori un film complesso nella sua linearità, ma l’emozione non graffia, e la storia, sebbene interessante, non riesce a coinvolgere del tutto.
Acclamato all’ultima Berlinale (presente nella sezione in concorso) e candidato all’Oscar come miglior film straniero. Un po’ eccessivo forse, ma va bene così. |
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Commenti del pubblico |
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