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Recensione: Hafez

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Hafez
titolo originale Hafez
nazione Iran / Giappone
anno 2007
regia Abolfazl Jalili
genere Drammatico
durata 98 min.
distribuzione n.d.
cast M. Moradi (Hafez) • K. Aso (Nabat) • M. Negahban (Shams-Ai-Din Mohamed) • H. Hedayati (Mufti) • A. Shamasi
sceneggiatura A. Jalili
musiche Y. LhamoA. Jalili
fotografia A. Jalili
montaggio A. Jalili
uscita nelle sale  non ancora disponibile 
media voti redazione
Hafez Trama del film
Hafez è un ragazzo particolarmente intelligente che a soli 17 anni riesce a terminare gli studi, superando brillantemente tutti gli esami di teologia. Ciò induce il gran Muftì, guida spirituale della città, a chiedergli di fornire lezioni private alla figlia Nabat. Hafez accetta, nonostante gli venga proibito di guardare la ragazza. Discorrendo di religione, filosofia, poesia i due giovani cominciano a nutrire forti sentimenti l'uno per l'altro. La governante, accortasi dei cambiamenti in atto, li riferisce al Mufti. Questi, infuriato con Hafez, lo caccia di casa e lo obbliga a scegliere tra l'ortodossia religiosa e la vita laica. Attaccato dall'intera comunità, il ragazzo è costretto ad abbandonare la città senza, nondimeno, riuscire ad evitare conseguenze drammatiche per la sua famiglia. Ma la sua guida spirituale gli indica un'altra via: le sette prove dello Specchio.
Recensione “Hafez”
a cura di Glauco Almonte  (voto: 6)
Hafez parla d’amore, di poesia, ma anche di Dio. E’ giovanissimo quando entra ufficialmente nella mondo che conta, filosofo-teologo e insegnante di lettura del Corano; è altrettanto giovane quando ne viene buttato fuori, innamorato di una voce che non doveva guardare.
Hafez” parla dell’Iran di oggi, fa chiedere a un ragazzo intelligente se sia giusto esprimere tutto ciò che si prova e fa rispondere di no a chi ha il potere di giudicare i pensieri, oltre alle parole.
Sufi, dervisci, il Grande Muftí: ciò che accomuna le diverse comunità persiane non è Allah, ma l’ottusità (e, en passant, la misoginia) tipica di tutte le religioni, aggravata dal potere politico e sociale di chi le amministra. Si ferma subito, Abolfazl Jalili, ma dalle sue immagini asciutte, dai suoi uomini stereotipati si può leggere, ben oltre le parole soffocate, quanto sarebbe importante una separazione netta tra il potere spirituale e quello temporale, i cui danni non potrebbero in tal caso sommarsi.
Hafez non è solo: il suo doppio sposa la donna che lui ama, diffonde le poesie che lui scrive, condivide con lui lo specchio delle verità: l’unica verità che è data sapere, a dispetto del Dio “uguale per tutti”, come sentiamo coraggiosamente dire, è che lo specchio riflette soltanto se stessi.
Ad una prima parte in cui è facile leggere una critica nella rappresentazione del reale, ne segue una seconda completamente diversa, una ricerca di Hafez di qualcosa che va oltre il trascendente, al quale ognuno dà un nome diverso: quel che per i Sufi è la ricerca dell’amore eterno, per il giovane poeta è la speranza di smarrire il proprio, ben più terreno, innamoramento.
La ricerca della verità sembra figlia del pentimento: qui “Hafez” non regge, portando in scena l’assurdo percorso di un ragazzo che è stato frustato, esiliato, ha perso il suo titolo, non può più insegnare, al quale hanno ammazzato la madre negandole sepoltura soltanto per aver guardato la sua allieva. Hafez china la testa, e si mette alla ricerca della purezza (frequente l’allusione all’acqua come elemento purificatore), della verità. Farebbe meglio a cercare la libertà, quella cosa che si ha quando nessuno ti dice cosa stai vedendo nello specchio.
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