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Recensione: Love life (Liebesleben)

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Love life (Liebesleben)
titolo originale Liebesleben
nazione Germania / Israele
anno 2007
regia Maria Schrader
genere Drammatico
durata 104 min.
distribuzione n.d.
cast N. Garty (Ya'ra) • R. Serbedzija (Arie) • T. Feldshuh (Hannah) • I. Golan (Joni) • S. Singer (Leon) • G. Buick (Vivien)
sceneggiatura M. SchraderL. Stieler
fotografia B. Neuenfels
montaggio A. Zynga
uscita nelle sale  non ancora disponibile 
media voti redazione
Love life (Liebesleben) Trama del film
Ya'ra è una brillante studentessa universitaria con una vita apparentemente molto serena. Nonostante i problemi che si vivono in tutta Gerusalemme, Ya'ra ha un promettente futuro, convive felicemente con il suo ragazzo ed ha un ottimo rapporto con la famiglia. Proprio mentre si trova con essa, un giorno conosce un misterioso quanto affascinante amico del padre, Arie, un uomo maturo che le fa conoscere il potere seduttorio della trasgressione. Con lui nascerà una passione, sfogo di rabbia e frustrazioni che rivelerà gli scandali e i rancori sopiti all'interno della idilliaca cornice familiare.
Recensione “Love life (Liebesleben)”
a cura di Glauco Almonte  (voto: 6,5)
Niente di nuovo sotto il sole.
La vita in funzione dell’amore, la maturità di prendere e di sbagliare la decisione più importante. E l’immaturità di chi ancora non sa nulla della vita, e si spinge contro ogni logica a guardare da dove arrivi il vento.
Arie è la figura stereotipata dell’uomo affascinante e brutale, Ya’ra quella della ragazzina che crede di trovare appagamento facendo di tutto per soffrire, salvo trovare nel proprio masochismo (lei lo chiama amore) soltanto una dipendenza da esso e un bisogno crescente di sprofondare. Nemmeno i genitori di lei sono esenti dal cliché della coppia ‘perfetta’ per questa trama, l’uno che chiude gli occhi per non dover nemmeno sforzarsi di nascondere la propria frustrazione, l’altra che ostenta un rancore profondo ma si rifiuta di esplicitarlo. Alla fine Maria Schrader vuole semplicemente parlare della vita, della libertà che ognuno crede di avere nello scegliere la propria strada, salvo ritrovarsi col tempo incattivito e pentito: la soluzione, semplicistica ma inattaccabile, è l’amore – ma quello di Ya’ra non è amore, né amore riceve, e il finale non regge.
Percorrendo questo sentiero così tanto battuto, Maria Schrader ha il grande merito di riuscire a far apprezzare il film con una regia mai monotona, cambiando ritmo e stile più volte senza dare fastidio, senza farsi notare apertamente: è forte il contrasto tra la banalità della sceneggiatura – di cui la Schrader deve assumersi la colpa insieme a Laila Stieler – e l’oggettiva grazia del prodotto finale, bilanciato e mai fastidioso. Se il film non deraglia bisogna ringraziare Rade Serbedzija, protagonista a questa Festa del Cinema di Roma anche con “Fuggitive Pieces” di Jeremy Podeswa (in concorso): Arie è il personaggio-chiave del film, l’unico sul quale, a priori, l’attore ha una discreta gamma di possibilità nell’affrontare questo ruolo; Serbedzija sceglie la strada migliore, preferendo la calma di chi ha comunque dentro di sé una sofferenza che sa di non poter vincere all’esuberanza del tenebroso e magnetico cinquantenne che dispone come vuole della figlia del suo migliore amico.
Un film senza un ‘perché’, ma con un ottimo ‘come’.
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