Fallujah, Novembre 2004. Piovono bombe sulla nostra testa e gli occhi vengono travolti dalle immagini senza alcun bisogno di concentrazione.
La strage non si ferma e la paura entra intima nella stanza dove Gianluca Arcopinto, primo lungometraggio e molta distribuzione, costruisce il suo documentario, ispirandosi al testo teatrale “Canto per Fallujah” di Francesco Piccolini che inizia con un canto del Muezzin che esorta alla preghiera, finendo tra le macerie della guerra che resta il crimine più grande.
Il dialogo sofferto tra un soldato americano e una donna irachena, uniti dal percorso tragico che li ha messi di fronte, uno contro l’altra, senza nemmeno sapere il perché; è intervallato da materiale di repertorio e da interviste a Simona Torretta, ad un reduce americano pentito, ad un medico arabo e ad una donna irachena a cui la guerra ha ucciso i due figli.
Le storie s’incastrano veloci, alternandosi con sospiri di bomba e lamenti, poi quando tutto sembra illuminarsi e il chiarimento superare la violenza iniziale ecco che il destino, alienante sin dall’inizio, compie il suo tragitto diabolico, unendo la chiarezza raggiunta alla morte, casuale e simbolica, talmente tanto da meritare un film, anzi un documentario, ricco di testimonianze e dolore, ricco di umanità oggi purtroppo quasi considerata scontata.
Angeli distratti che non si sono accorti di quel che è successo ma sempre continueranno a proteggere la città sperando di non distrarsi più. |
