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73 è la sigla di un revolver a sei colpi, micidiale e preciso, in dotazione alla polizia francese negli anni '70. Schneider è un poliziotto ormai consumato, che sembra non avere più nulla da dare al suo lavoro. Ma gli viene offerta una possibilità per riscattarsi. Ha il compito di proteggere una giovane donna da un assassino che sta per uscire di prigione. L'assassino in quesione, in passato, ha ucciso i genitori della ragazza. |
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Il silenzio cinematografico. Progressione 'ordinata' di una logica/passione narrativa (spazi e atmosfere). L'attenzione misurata e sensibile della visione 'intuitiva' di Olivier Marchal è carne ancora viva: l'inganno dello sguardo senza notte, la gestualità di violenza repressa, di sorrisi fugaci che traducono violente determinazioni introspettive; il rifugio 'collaterale' che permette di ottenere un’atmosfera senza dover render conto eccessivamente del cammino intrapreso. Sorretto dalla fotografia splendidamente mutevole del direttore Denis Rouden, l'universo registico del film si costruisce su un contrasto continuo di grandi linee e di atmosfere stilizzate; di riflessi e trasparenze fra gli specchi e le superfici (vetrate) della riflessione artistica nelle quali si muovono i personaggi. Da queste rotture nasce uno dei pregi del film: il passaggio continuo dal pubblico al privato, dal confronto sociale a quello famigliare dei personaggi, dai loro conflitti esteriori a quelli più intimi, dove tutto concorre a dividere, oltre la natura più profonda, che si unisce nella medesima volontà di assoluto come nell'eguale divaricazione verso la degradazione. Sono immagini corrosive del respiro contemplativo, impregnate di una sofferenza personale. |
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