Prima regia, ma soprattutto primo impegno a 360° per Helen Hunt. Partendo dall’ennesimo bestseller che sembra scritto proprio per il cinema, “Then she found me” di Elinor Lipman, la Hunt co-produce, co-sceneggia, dirige e interpreta questo film, tradotto in italiano “Quando tutto cambia” (in originale il titolo è lo stesso del libro).
Non si può non apprezzare il gran lavoro fatto, e allo stesso tempo chiedersi se non sia troppo: come attrice si conferma sui suoi standard, la sorpresa è che riesce a dare al film un discreto ritmo. La regia però gioca quasi esclusivamente – almeno nella seconda parte – su piani ravvicinati, al massimo mezze figure, portando lo spettatore ad un coinvolgimento emotivo ma ad una distanza siderale sia da quella che è in realtà la storia, sia, soprattutto, dalle sue riflessioni autonome, dai suoi sentimenti, potenzialmente diversi da quelli della Hunt. Questo ad essere severi si chiama giocare sporco, ad essere comprensivi inesperienza: è la strada più facile per chi non ha ancora padronanza dei mezzi tecnici.
Quello che lascia maggiormente perplessi è la storia: tutto il baraccone è costruito su una traccia debolissima, che doveva essere resa più interessante in fase di sceneggiatura, o meglio ancora scartata, cambiando soggetto. A metà strada tra commedia e dramma, “Quando tutto cambia” non riesce a convincere sotto nessun aspetto: il personaggio comico – la madre naturale di April, interpretata da Bette Milder – è spesso fuori dalle righe, e il rapporto con la figlia è ripetitivo; i momenti drammatici durano troppo poco, scegliendo la Hunt di consumare il tutto con un cambiamento di espressione nel volto dei suoi personaggi, prima che la storia vada avanti e torni ad incanalarsi sui binari del prevedibile happy end.
Tralasciando il vezzo della Hunt che si dà 39 anni, è apprezzabile l’impegno di Colin Firth nell’unico ruolo con un minimo di sfumature (ma proprio un minimo), che risalta anche per contrasto nei confronti di un Matthew Broderick decisamente giù di tono. |