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Recensione: Big City

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Big City
titolo originale Big City
nazione Francia
anno 2007
regia Djamel Bensalah
genere Commedia
durata 100 min.
distribuzione Videa CDE
cast M. ChevallierL. DeutschA. De PenguernE. MitchellC. BorotraJ. CourbeyV. Valladon (James Wayne) • P. Biguine (La bella) • J. Denisty (Il figlio del sindaco) • S. Seghir (Wapiti) • A. Maah (Independance)
sceneggiatura D. Bensalah
musiche E. Kermorvant
fotografia P. Gennesseaux
montaggio J. Elie
uscita nelle sale 25 Luglio 2008
media voti redazione
Big City Trama del film
Ricordate "Piccoli gangsters" di Alan Parker? La commedia musicale del 1976 ispirata agli eventi di Chicago durante l’era del proibizionismo e interpretata interamente da ragazzini. Trent’anni dopo, "Big City" di Djamel Bensalah, ripropone l’esperimento con un western in cui i cowboys sono giovanissimi attori: è ambientato in una cittadina del Far West, dove vive una tranquilla comunità di emigranti. Tutto ha inizio quando gli adulti del villaggio corrono in soccorso di una carovana che è stata assaltata dagli Indiani. I bambini al risveglio,il giorno dopo, si ritrovano da soli. Hanno una città a disposizione tutta per loro!... Fino a quando "Big City" non viene attaccata dai figli degli Indiani...
Recensione “Big City ”
a cura di Glauco Almonte  (voto: 7)
Ci sono film che sono una vera tentazione per il critico, film che possono essere facilmente definiti “metaforici” per essere poi analizzati e scomposti prima di giocare con le metafore e i loro significati.
Big City”: un film su una città del West americano che si trova a essere governata dai bambini dopo che gli adulti sono tutti partiti per la guerra contro gli indiani. Ecco la tentazione...
Ma definire il film di Djamel Bensalah metaforico sarebbe dare una visione del tutto parziale dell'opera, che è invece una sorpresa continua e incanta al punto che all’improvviso i (bravissimi) bambini smettono di apparire bambini non solo nella trama ma anche agli occhi dello spettatore che inizia a vivere il film come un autentico film western. Il regista, nonché sceneggiatore, gioca abilmente con l’idea di base del film e i momenti in cui lo spettatore ritorna improvvisamente consapevole della natura dei protagonisti comunicano un senso di spaesamento e di magia al tempo stesso.
Con i genitori lontani, i piccoli abitanti di Big City decidono di prendere il loro posto: il figlio del sindaco diventa sindaco, la figlia della maestra insegna, il figlio del buttafuori del saloon si occupa di mantenere l’ordine in città, i figli della ex schiava fanno gli sguatteri, la figlia della cantante del saloon vende baci come sua madre. I figli dei cattivi archittettano prevedibilmente loschi piani, ma siamo molto lontani dal film a tema sul genere “Signore delle Mosche”: in “Big City” il tono è leggero, ironico come quello di certi western minori ma senza mai cadere nella parodia. Il film coinvolge non con colpi ad effetto o puntando tutto sulla recitazione di bambini-attori, ma con una rara eleganza e un senso della misura che regalano allo spettatore una sensazione di dolce straniamento.
Ma proprio quando lo spettatore si sta abituando a un film "leggero", la realtà fa intrusione sotto forma di una ineluttabile coazione all’incomprensione e alla sopraffazione, e la violenza travolge i bambini con intensità uguale a quella che ha spinto altrove i loro genitori. La violenza in ogni sua forma, sia essa calunnia, razzismo, avidità o inganno c’è e Bensalah, senza mai perdere l’equilibrio del film nel suo insieme, la rappresenta senza scivolare in facili chiavi di lettura.
Il contatto con i figli degli indiani, anch’essi privi dei genitori occupati in questa guerra lunga e lontana, scivola verso lo scontro e lo spettatore non vede messaggi retorici o metafore più o meno legate alla contemporaneità, ma partecipa effettivamente alle vicende delle due piccole tribù, cosa probabilmente molto più efficace di mille interpretazioni cerebrali per “catturare” una persona in un film.
E qui, si perdonerà al critico di essere quello che è e di abbandonarsi a una piccola piccola interpretazione metaforica. Se il finale del film è, giustamente, un misto di speranza e delusione, non si può non notare che a riportare i bambini alla ragione non è la loro presunta innata innocenza ma l’esperienza dell’unico adulto rimasto in città. Chi conosce le conseguenze delle sue azioni, e non chi agisce con buone intenzioni, può riportare pace e speranza a Big City.
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