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I fratelli Wendy e Jon Savage hanno abbandonato molto presto la casa paterna ed ognuno di loro conduce ormai un'esistenza lontana dai legami familiari. Wendy vive nell'East Village dove cerca in ogni modo di realizzarsi come sceneggiatrice, ma in realtà si arrangia per sbarcare il lunario, ed è coinvolta in una relazione senza futuro con un vicino di casa 'molto sposato'. Jon, invece, è un professore universitario dall'indole nevrotica, autore di libri su temi oscuri. Il loro ultimo desiderio sarebbe proprio quello di tornare a vivere in una situazione familiare da cui sono precocemente fuggiti, ma una telefonata in cui vengono informati della demenza senile del padre ormai giunta ad uno stato gravemente avanzato riporta a casa i due fratelli... |
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Non dobbiamo andarci, non siamo in una commedia di Sam Shepard
Jon e Wendy Savage vivono a migliaia di chilometri di distanza, ognuno la propria vita: sono fratelli, ma sono soprattutto estranei. Due estranei che si ritrovano a dover affrontare insieme il problema di un padre sulla strada della demenza, e ad affrontare in questo modo il proprio rapporto con un passato dal quale si erano allontanati il più possibile, brancolando sperduti in un presente instabile.
A quasi dieci anni di distanza dal suo primo film, “L’altra faccia di Beverly Hills”, Tamara Jenkins scrive e dirige “La famiglia Savage”, affrontando un tema che fa parte come pochi della realtà ma del quale si evita di parlare. Non è sulla malattia di Lenny che punta il dito la Jenkins, ma sul modo in cui i figli la affrontano: due persone che non sceglierebbero mai di farlo insieme, ma insieme si trovano e, come tutti senza alcuna preparazione, ci provano.
Come non si tende a parlarne, allo stesso modo si potrebbe scegliere di non vedere questo film: una scelta comprensibile, tanto più che “La famiglia Savage” è sostanzialmente deprimente, ma – un paio di inquadrature gratuite a parte – è della vita che parla, e con la vita parla dei cambiamenti, delle paure, dei sensi di colpa, della morte.
Tamara Jenkins riesce a trasformare un soggetto così pesante in un film, se non leggero, intimo e pacato, costellato di attimi divertenti che, lungi dallo straniamento, tengono lo spettatore attaccato alla realtà della vita quotidiana.
Le scene iniziali, a Sun City (una città-ospizio in Arizona, esiste davvero ed è proprio come si vede nel film), aiutano lo spettatore ad affrontare la visione con ironia e impediscono alla gravità della situazione il dominio incontrastato. La musichetta che accompagna queste scene torna, per contrasto, quando Lenny viene lasciato nella casa di cura: un ghigno, più che un sorriso, per un accostamento che si manda giù a fatica.
“La famiglia Savage”, superata la diffidenza iniziale per l’argomento, è un ottimo film, impreziosito dall’interpretazione dei tre attori, tutti su standard altissimi: brava Laura Linney nell’interpretare la bugiarda-confusa-nevrotica Wendy, eccezionale Philip Seymour Hoffman nel dare spessore a un personaggio apparentemente piatto, e che facilmente poteva scomparire accanto alla sorella; anche Philip Bosco, nella parte non facilmente giudicabile del padre malato, collabora a creare tra i tre personaggi un invisibile legame, più forte del loro semplice essere famiglia, estranei. |
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Commenti del pubblico |
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Non era facile fare un film come questo, dove si parla di morte e vecchiaia in modo semplice e a volte anche con un po' di umorismo,senza cadere nella banalita'.Invece con una buona sceneggiatura e due ottimi attori,la famiglia savage,è un bel film,che ti lascia qualcosa alla fine.Finale bellissimo!
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Melodramma familiare con alcuni momenti di humour, impreziosito dalle interpretazioni dei protagonisti (soprattutto il compianto Hoffman, come sempre bravissimo...). Dialoghi ottimi e ambientazioni azzeccate.
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Non è un fim drammatico questo ma un film che parla del dramma e della normalità, la normalità di cio' che è ineluttabile. La regista riesce a non usare effetti speciali per ottenere commozione facile ma usa la narrazione per commuovere e ci riesce grazie anche a due attori di livello che riescono a creare un contesto profondamente umano e quindi che contiene non solo dramma ma anche ironia, commedia, in una parola vita. Dal sole asettico e irreale dell'Arizona alla fredda Buffalo si confeziona cosi' la fotografia di una famiglia alle prese con la malattia e la morte.
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Film drammatico, duro e realista, che per fortuna non rinuncia a una buona dose d’ironia. Il tema è pesante, ma la trattazione è delicata e priva di eccessi. Strepitosa performance di P.S. Hoffman (riesce a rendere coinvolgente un personaggio apparentemente piatto) e Laura Linney, meno convincente Bosco nel comunque difficile ruolo del padre.
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Omaggio a Seymour Hoffman al MIC (18 Dicembre 2014)
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Cancellata la cerimonia dei Wga (11 Gennaio 2008)
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"There will be blood" miglior film 2007 ( 7 Gennaio 2008)
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"La famiglia Savage" nella foresta della vita (19 Dicembre 2007)
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