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Recensione: L'incubo di Joanna Mills

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L'incubo di Joanna Mills
titolo originale The Return
nazione U.S.A.
anno 2006
regia Asif Kapadia
genere Thriller
durata 85 min.
distribuzione Eagle Pictures
cast S. Gellar (Joanna Mills) • P. O'Brien (Terry Stahl) • A. Scott (Kurt) • K. Beahan (Michelle) • S. Shepard (Ed Mills)
sceneggiatura A. Sussman
musiche D. Marianelli
fotografia R. Osin
montaggio C. Simpson
uscita nelle sale 18 Gennaio 2008
media voti redazione
L'incubo di Joanna Mills Trama del film
Joanna Mills è una giovane ragazza della provincia americana determinata a scoprire la verità che si cela dietro le visioni sovrannaturali e terrificanti che la terrorizzano. La ragazza vede in visione il brutale assassinio di una giovane donna che non ha mai incontrato, per mano di un killer spietato, un uomo che sembra di voler fare di Joanna il suo prossimo bersaglio...
Recensione “L'incubo di Joanna Mills”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 5)
Una classica storia di fantasmi: il contributo 'estetico', quello del caos incombente. Perchè a volte anche dopo molto tempo dall’omicidio (i propri sogni deviati) il terrore vive ancora e colpisce chiunque si avvicini troppo. "Joanna fa cose violente, ma si massacra anche il corpo; ed è un dolore che vuole da tanto tempo..." Il derivante (arrogante) smarrimento provoca una strana inquietudine. Cinema dell'orrore: uno dei rari aspetti 'istruttivi' di "Joanna Mills". Il fascino 'malato' di un horror ordinario, procedimento a specchio, ad incastro, a spirale, nell'ottica dell'intuizione espressiva; gioco di riflessi fra lo schermo e la platea, oppure fra i monitor onirici di subconscio e la trama psycho-thriller (paranormale): perchè le visioni ci sono comunque. La vittima e l'assassino (sovrannaturale), gli osservati e l'osservatore: la logica degli avvenimenti fra la realtà e la finzione, la paura ed il divertimento, la partecipazione ed il distacco dello spettatore (dall'immagine cinematografica). The Return, a quella sensazione orrorifica che ci si aspetta da film del genere. Il gioco 'sapiente' che la fretta di una sceneggiatura probabilmente ansiosa di non perdere le ricadute dei successi precedenti ("The Grudge") rende progressivamente sempre più impreciso, e quindi discutibile la progressione drammatica. Un cinema che per altro non rinuncia mai del tutto al filtro del linguaggio cinematografico tradizionale: la struttura narrativa basata sulla linearità del conflitto drammatico, sull’importazione e la rielaborazione dei generi 'classici' (horror); ma soprattutto una pellicola troppo spesso in continuo e straniante confronto con il patrimonio di luoghi e di funzioni riconoscibili esibite dall'ultimo cinema coreano. Non si tratta quindi di 'svelare' un film, il punto di vista del male, il seme della follia e del caos; perchè l’effetto scenico è l''avvertimento' categorico e l’umana 'sofferenza' di un brivido prevedibile: i propri orrori deboli e 'umiliati'.
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