La traduzione italiana del titolo originale – il più anonimo 27 dresses – prova a giocare sull’ambiguità del bianco del vestito da sposa e dell’andare invece “in bianco” in quanto mai protagonista ai matrimoni. Tuttavia non è poi così interessante capire se il gioco di parole sia riuscito o meno, quello che conta è che “27 volte in bianco” è uno dei tantissimi film americani della generazione 'Bridget Jones', che tenta di descrivere una realtà femminile in modo estremamente semplicistico e sinceramente anche avvilente. Una discreta ironia non riesce infatti a contrastare una frivola struttura troppo prevedibile, una colonna sonora troppo ‘puntuale’, una rara mancanza di emozioni e un finale soporifero.
L’elemento più discutibile di “27 volte in bianco” è, però, la caratterizzazione della psicologia e della personalità dei protagonisti, in particolare quelli maschili, per lo più inebetiti e opportunisti. Aleggia continuamente nell’aria, oltretutto, l’impressione che situazioni e personaggi siano poco approfonditi, totalmente al servizio della riuscita della storia e in mano a un seccante e prevedibile destino riparatore. Il sentimento appare così fasullo che non c’è più nemmeno lo spazio per sognare.
La regista Anne Fletcher, che è in realtà una coreografa, si avvale della notorietà di Aline Brosh McKenna, sceneggiatrice esageratamente lodata per “Il diavolo veste Prada”, e confeziona un film per donne inguaribilmente romantiche e forse un po’ frustrate. Non è poi così ostico, evidentemente, riconoscersi in una protagonista premurosa, generosa, buona, disponibile e attraente come Jane, interpretata da Katherine Heigl, già vista nel film “Molto incinta” e nella serie televisiva Grey’s anatomy.
La commedia al femminile è nata già moribonda. Basta così, grazie. |