“Chi nasce tonno, quadro ‘n ce more”
Memorie di una Roma pittoresca e truffaldina che non esiste più.
La sua anima più intima, impertinente e scanzonata, si sta perdendo nell’anonimità di aperitivi consumati in eleganti wine-bar, espressioni di una socialità sempre più formale e distaccata, e il regista Alessandro Valori prova a tracciarne un ricordo, evocando la Roma di una volta, quella degli infami e dei malandrini, degli espedienti e dei sotterfugi. Lo fa proponendo una storia caramellata non priva di edulcoranti, ma dal gusto piacevole, e la genuinità del progetto è ammirevole: Valori non solo omaggia un pezzo di storia che sta scomparendo, ma lo fa coinvolgendo una generazione lontana anni luce da quel mondo: nella fase di realizzazione del film sono stati coinvolti ragazzi di quattro licei di Roma, che in questo mondo hanno anche avuto modo di avvicinarsi al mondo del cinema stando dietro una macchina da presa invece che davanti a uno schermo televisivo (o cinematografico, nella migliore delle ipotesi).
La sceneggiatura è sinceramente modesta, vittima – più o meno coscientemente – di esasperazioni (specie nella seconda parte) e forzature, i personaggi spesso descritti in modo ‘macchiettistico’, e alcune scene ai limiti dell’inverosimile; probabilmente se non ci fosse Mastandrea il film perderebbe molte delle sue qualità, probabilmente se non ci fosse la Orioli ne acquisterebbe altre, ma in fondo poco importa: le avventure di Mario e Righetto nel loro road-movie capitolino sono spassose e suggeriscono sorrisi leggeri; ma non sono solo le battute a far sorridere, anche le diverse immagini di repertorio di una Roma lontana nel tempo (in bianco e nero) strappano più di un sorriso malinconico.
Per questo Alessandro Valori, gli studenti dei licei romani e l’Istituto Luce si meritano un applauso sincero. |