Dalla penna di James Ellroy, lo stesso scrittore insieme a Kurt Wimmer e Jamie Moss trae la sceneggiatura per “Street Kings”, affidato alla regia di David Ayer. Il regista dell’Illinois trapiantato a Los Angeles, già sceneggiatore di “Training Day”, realizza per le strade della città degli angeli un thriller urbano che, nella sua ora e tre quarti di durata, non annoia mai. Ritmo e stacchi veloci tra le inquadrature aeree e gli interni-macchina sono il primo punto a favore di questo film che richiama un po’ “Collateral”, molto “L.A. Confidential”, a tratti “Kill Bill”. Keanu Reeves si presenta come giustiziere della notte, e ci mette un po’ ad ottenere credibilità con quel viso pulito e il fisico minuto; stesso discorso per Hugh Laurie, ambiguo capitano di polizia, che fa la sua comparsa in una corsia d’ospedale: ci vuole ancora di più per chi lo identifica col televisivo Dottor House a staccarsi dal preconcetto e ad identificarlo con un personaggio dalla già difficile identificazione.
Muscihe, montaggio e fotografia contribuiscono di par loro alla riiuscita del film, assecondando i movimenti e le scelte di Ayer. Quel che non è nel merito tecnico è ugualmente riuscito: la storia tiene bene fino alla fine, perché se si intuisce chi sia il “colpevole”, l’“obiettivo” dell’indagine, rimangono dubbi fino all’ultimo su cosa stia realmente accadendo al Detective Tom Ludlow. Se in fase di presentazione dei personaggi Keanu Reeves può sembrare inadatto al ruolo, è però proprio il suo aspetto “raccomandabile” che gli permette di mantenere il contatto con lo spettatore, restando potenzialmente tra i “buoni” finché la storia non arriverà all’ultima curva, dopo la quale anche le azioni del protagonista devono riscpecchiare il suo ruolo e la sua emergente statura morale.
Un discirso a parte va fatto per Forest Whitaker: il suo ruolo è quello maggiormente sacrificato tanto nella fase introduttiva quanto in quella centrale, nella quale scompare; facile intuire un suo ritorno in scena nell’ultima parte, nella quale si dimostra bravo – come sempre – anche se non si trova ad interagire con gli altri, ma consuma la sua apparizione attraverso sentiti monologhi.
Anche se la seconda parte è costellata di soluzioni banali per risolvere i conflitti tra i paersonaggi positivi e per crearne di nuovi e definitivi, “Street Kings” (tradotto in italiano “La notte non aspetta”, senza alcun senso) vale come pochi film d’azione negli ultimi tempi. |
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