Dopo “Passato prossimo” del 2003, Maria Sole Tognazzi, per la sua seconda regia, sceglie d'invertire convenzioni e attenzioni, portando sullo schermo un dolore tutto maschile, un modo d'amare fin'ora quasi mai raccontato. Il suo protagonista non vede contorni, soffre perchè abbandonato. Tutti gli altri ruoli dipendono da lui e spesso sono ambigui o indefiniti al punto giusto da risultare affascinanti e ombrosi, personaggi senza dimora e con poche certezze.
L'uomo che ama ma soprattutto soffre, cammina e perde il sonno, dimentica di essere forte ed è talmente sensibile da diventare prima debole, poi addirittura malato. Davanti all'amore “che muove il sole e le altre stelle” in modo così totale, non c'è differenza di sesso e probabilmente neanche di dolore. Roberto ama e viene lasciato, perde il contatto con le cose e va oltre ogni dignità interiore per riprendersi Sara, senza però mai uscire da nessuna riga sociale. La storia resta sempre tenue, soffusa in una fotografia intima e avvolta dalle calde note di Carmen Consoli; osserva un'intimità che si svela continuamente e che lascia in silenzio, lo stesso del suo sofferente protagonista. Ma a volte proprio questa sua estrema delicatezza trascina la storia dentro ripetizioni circolari. A metà film si ha la sensazione di aver ricominciato da capo e ci si chiede se manchi l'originalità o se sia davvero universale l'uguaglianza di ognuno di noi davanti al dolore. Le ferite di Roberto restano uguali e sempre aperte, il tempo non spegne ma nasconde soltanto. Gli occhi di Pierfrancesco Favino però sono pura intensità e accanto a lui non sfigura Monica Bellucci, pastellata ma quasi al limite dell'espressivo; brilla invece la sempre più lanciata Xenia Rappoport, in grado di essere fatale e sensuale, come pretende Sara, provocatrice di un desiderio quasi mai visto prima.
Presentato nella sezione concorso 2008 del Festival Internazionale del Film di Roma. |