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La tranquilla esistenza di una famiglia è minacciata da un’autostrada: a pochi metri dalla loro casa in mezzo al nulla è stata costruita una lingua di cemento dove sfrecciano rumorose macchine, camion, tir. Marthe, Michel e i suoi tre figli si rifiutano di traslocare da qualche altra parte, provano ad adattarsi, ma non possono evitare di scontrarsi con le tensioni che questa spiacevole novità comporta. |
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…si caga bene, lo si fa tutti insieme.
Con buona pace di “Le Monde”, che parla di “90 minuti di divertimento”, il primo lungometraggio per il cinema della franco-elvetica Ursula Meier è un film atipico, almeno in relazione ai parametri della commedia francese contemporanea. Diviso in due parti, ognuna con un suo registro espressivo, “Home” lascia lo spettatore divertito a metà film, per ritrovarlo alla fine in preda ad una sorta di claustrofobia riflessa, dettata tanto dal luogo chiuso quanto dalla sensazione che in ogni istante, nell’ultima mezzora, possa succedere l’irreparabile.
Lo spunto è tra i migliori che si ricordino nel passato recente: una famiglia vive serena sul ciglio di un’autostrada mai entrata in funzione, finché un giorno non viene finalmente aperta al traffico. L’evento che destabilizza l’equilibrio di partenza è un evento dei più comuni, accolto con favore dal “resto del mondo”: per la famiglia di Marthe e Michel è il passaggio da un idillio quasi innaturale, una vita al di fuori del mondo, ad un inferno di smog e rumore.
Isabelle Huppert è perfetta nella parte di una madre apparentemente serena, attesa al varco di un crollo di nervi che sarà ancor più brava a contenere, ma il personaggio che colpisce di più è quello di Michel, che Olivier Gourmet rende sorridente e serafico nella buona sorte quanto con il caos alla finestra, fino alla scena in cui incastra l’ultimo mattone: nessun ghigno alla Jack Nicholson in un momento della storia nel quale lo spettatore si aspetta una deriva alla “Shining”, ma un ritorno alla normalità che fa ancora più paura.
La leggera tensione che si avverte quando tutto va bene, e ognuno dei cinque personaggi mostra il proprio carattere, lascia il campo per pochi minuti alla partecipazione alle loro difficoltà, per rifarsi nuovamente tensione quando l’indifferenza per l’autostrada diventa – letteralmente – chiusura al mondo. I problemi del passato tornano nuovamente a galla all’interno della casa/mondo, quando ogni regola esterna smette di valere ed ogni maschera diventa inutile: questo almeno finché i “superstiti” non decidono che sia meglio vivere nel mondo, col suo rumore e le sue facciate di buonismo, piuttosto che con loro stessi.
Le dinamiche familiari che la Meier racconta non sono diverse da tante altre già raccontate, ma all’interno della casa che ne delinea il contesto acquisiscono un’ambivalenza che ne rafforza la portata: basta allora un piccolo scatto, uno sguardo diverso, per trasformare la casa collante a prigione, perché vista come necessità e non come scelta. |