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Recensione: Ventiquattrosette

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Ventiquattrosette
titolo originale 24 7: Twentyfourseven
nazione Gran Bretagna
anno 1997
regia Shane Meadows
genere Drammatico
durata 96 min.
distribuzione Medusa Film
cast B. Hoskins (Alan Darcy) • D. Nussbaum (Tim) • J. Hooton (Knighty) • D. Campbell (Daz) • J. Brady (Gadget)
sceneggiatura S. MeadowsP. Fraser
musiche B. HewerdineN. MacColl
fotografia A. Rowe
montaggio W. Diver
media voti redazione
Ventiquattrosette Trama del film
Tim trova un barbone in stato comatoso. Sta per andarsene, ma poi si rende conto che l'uomo è Alan Darcy, così decide di portarlo a casa e mentre lo mette a letto scopre che ha con sé un diario. Lo scritto risale a cinque anni prima e racconta dei tentativi di Alan di dotare il quartiere di una palestra di pugilato per tentare di togliere i ragazzi dalla strada.
Recensione “Ventiquattrosette”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
Con "Ventiquattrosette" l'inglese Shane Meadows gioca bene tutte le sue carte, dall'ottimo Hoskins, all'intensa sceneggiatura scritta insieme con Paul Fraser, al bianco e nero che ammanta tutta la pellicola del sapore di una fiaba moderna.
Bob Hoskins interpreta Alan Darcy, un originale sognatore che non riesce più a sopportare la vista di quei ragazzi che per 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana non fanno assolutamente nulla se non cadere pigramente nelle tentazioni della squallida vita di un insignificante paesino di periferia.
La sua ostinazione si traduce nella decisione di rimettere in piedi un boxing-club e coinvolgervi i ragazzi, anche costringendoli.
L'idea nasce, cresce e funziona. Ognuno di loro, Darcy compreso, si sente più sicuro dentro al "101" perchè fuori c'è la solitudine, la droga.
Meadows ha scritto e diretto questo suo primo lungometraggio a soli venticinque anni, senza scomodare, per ora, né Cassavetes né Scorsese, nel suo bianco e nero incalzante e nella sua capacità di mescolare ironia e dolore pare proprio che ci sia più d'una promessa, anche se insieme con qualche limite evidente, in specie narrativo.
C'è soprattutto, in "Ventiquattrosette", un'inaspettata, felice originalità di sguardo.
Ovviamente, non è la prima volta che il cinema lega tra loro degrado sociale e boxe, assegnando a questa il compito difficile e addirittura disperato di ricostruire biografie, rinsaldare gruppi. Ma, appunto, non di originalità strettamente narrativa si tratta, a proposito di Meadows.
A descriverne in qualche modo la natura può servire quello che, nel film, racconta Darcy a proposito della madre.
Quando era bambino, ricorda questo cinquantacinquenne che la vita sembra ormai vicina a sconfiggere del tutto, era solita paragonare il globo terrestre a una grossa palla, su per giù di quattro metri di diametro.
A prendere una lente d'ingrandimento e a osservarne i particolari da vicino, aggiungeva, si finirebbe per scorgervi il gran da fare d'innumerevoli piccoli uomini e piccole donne.
E, cosa ancor più sorprendente, si scoprirebbe l'unicità, l'irripetibilità, la dignità d'ognuno di loro.
Afferma Meadows che "TwentyFour Seven" vale per lui come una finestra sul mondo, e anzi come una finestra sul mondo da cui egli stesso viene: quello delle periferie industriali colme di disoccupati, delle case popolari nelle quali il tempo passa uguale e senza speranza, ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana.
E nelle quali, ancora, difficilmente s'immagina di vivere una vita che in un qualche modo possa essere raccontata in un film.
Appunto questa convinzione vuole contraddire e smentire: le vite di Darcy, di Tim, di Knighty, di Gadget, di Tonka e degli altri sono "cinematografiche", sono narrabili e mostrabili su uno schermo nella loro sorprendente unicità, irripetibilità, dignità.
Capita dunque che, per quanto degradata sia l'esistenza dei suoi personaggi, nemmeno uno sia raccontato per così dire da lontano e a freddo, che si tratti di tossici o di padri violenti, di boss o di prostitute.
A ognuno pare che l'occhio di Meadows prometta, comunque e sempre, un'ulteriore possibilità.
Quasi con la stessa caparbia e ingenua fiducia di Darcy, e anche con una deliberata e dichiarata sensibilità per il comico che convive con il tragico, la sua macchina da presa s'accosta alle loro vite nella convinzione che in esse ci sia, comunque e sempre, uno spazio residuo in cui prima o poi nascerà il futuro.
Darcy (anche per merito di Hoskins) è capace di mostrare insieme la debolezza d'un vinto e la sicurezza d'un idealista.
Nei suoi giovani marginali convivono la miseria dello spirito e una generosa vitalità che rende credibile anche l'inverosimile.
Nei suo adulti, prigionieri del grigio di storie tutte uguali, resta comunque una possibilità di memoria.
Per ognuno vale la "speranza disperata" che si esprime nella sequenza più bella del film: quella d'un valzer danzato in una squallida balera popolare da uomini e donne che conservano, intatta, la capacità di sognare.
Presentato alla mostra di Venezia del 1997.
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Utente di Base (40 Commenti, 27% gradimento) andrea_cavax 23 Ottobre 2011 ore 17:27
voto al film:   7,5

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