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Ispirato alla vera storia del pugile Jim Braddock che, nel periodo della Grande Depressione, per sfamare la famiglia tentò la fortuna con la boxe. Braddock passò velocemente dalla miseria alla gloria quando, nel 1935, riuscì a battere in un combattimento epico di 15 riprese il campione del mondo dei pesi massimi Max Baer. |
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"Il pugile ‘straccione’."
Il suo vero nome è James J. Braddock, ma ben presto l'avrebbero chiamato Cinderella Man. Di ragioni per lottare Braddock ne ha tante: orgoglio personale, voglia di riscatto, passione per l'unica professione che conosce veramente, la boxe; ma la suprema, quella che spazza via come un vento caldo e di uraganica potenza ogni cosa, si chiama famiglia: la moglie e i figli. Come tanti nelle sue condizioni, proletario nell’America della Grande depressione, tenta la fortuna sul ring, ma ormai, come si dice, le chiacchiere stanno a zero: un knock out dopo l'altro e la sua fama va a farsi benedire.
Campioni solitari e dal destino spesso tragico. Adrenalina alle stelle. Incontri combinati, malavita e bassifondi. Un campo da "gioco" facile da riprendere; ma sposare la tecnica al copione è difficile. "Il colosso d’argilla" di Mark Robson (l'ultima intensa interpretazione di Humphrey Bogart), racconta in modo esemplare l'ambiente pervaso dal falso mito del Sogno Americano. Per autenticità se la gioca con "Fronte del porto", dove Brando è un pugile di buone speranze costretto a perdere dal fratello.
Ottimo Paul Newman in "Lassù qualcuno mi ama", ma qui c’è la mano di Robert Wise. Se la cava anche Daniel Day-Lewis in "The boxer". Lodevole Denzel Washington in "The Hurricane". Menzione per Will Smith in "Alì". Bravissima Hillary Swank (The Million Dollar Baby), ma anche Michelle Rodriguez in "Girlfight".
Infine l'insuperabile: Robert De Niro-Jake La Motta di "Toro scatenato".
Russell Crowe è bravo, ma non può avvicinarsi al maestro, aiutato da uno Scorsese ispirato, capace di portarti per mano dentro la boxe anni '50. Il regista dice di essersi rifatto a Wise. Che diresse anche un altro capolavoro assoluto sul pugilato: "Stasera ho vinto anch'io", anno 1948.
Così la doppietta Howard-Crowe dopo "A Beautiful Mind" si ripresenta nel cinema "dello spettacolo". Ma qui l'entertainment sembra contare meno dell'umanità delle vicende narrate e dei personaggi che ce le confidano: gli occhi dolenti del campione, scartato assieme ad una folla di altrettanto bisognosi dalla manovalanza al porto o quelli risoluti che avvolgono il corpo denutrito del figlio maggiore Jay, sono il tono confidenziale e il tocco d'altri tempi. Anche il reparto tecnico non si risparmia a cominciare dalla straordinaria definizione del suono, che va ad infrangersi e terrorizzare la potenziale mortalità che potrebbe possedere ogni colpo scagliato da Baer contro Braddock nell'emozionante incontro finale. Così pure il montaggio, con la sua sapiente alternanza tra picchi frenetici e dilatazioni quasi disperse nel tempo.
In conclusione, "Cinderella Man" è un'autobiografia appassionata che riesce a rimanere fedele ai propri principi, senza mai perdere di "dignità". Piacerà soprattutto a chi riesce a cogliere il senso del film.
Presentato fuori concorso a Venezia 2005. |
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E' la più classica delle storie: un pugile dal cuore d'oro che cade nella miseria durante la Grande Depressione e, da povero operaio, diventa campione del mondo. Una storia di riscatto, di seconde possibilità, di lotta come metafora della vita: tutti temi nel più classico dei racconti americani. Ma Howard sa raccontarlo così bene che ti senti trascinato dalla narrazione e il film affascina, coinvolge e appassiona come nelle vecchie pellicole hollywoodiane. Merito della bravura del regista, della maestosa ricostruzione storica, delle interpretazioni (credibilissimo e misurato in una grande prova Crowe) e di una sceneggiatura piacevolmente romanzata: una storia incredibile e significativa che sembra scritta apposta per un film.
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