Da una sceneggiatura di Jenny Lumet – figlia del grande Sidney – Jonathan Demme realizza, con il contributo decisivo di Declan Quinn, un film quasi perfetto e, allo stesso tempo, quasi amatoriale. La macchina da presa, per lo più a mano, si muove all’interno di poche centinaia di metri quadrati, la villa dei Buchmann; ad uno spazio così limitato corrisponde un tempo altrettanto ristretto, non più di tre giorni tra le prove del matrimonio di Rachel e la cerimonia.
Al centro della storia, un matrimonio impeccabile: ogni cosa è al suo posto, compresa la sorella della sposa, fresca di ricovero in un istituto per disintossicarsi. La storia però non la fa l’evento, bensì i protagonisti che ne prendono parte, o meglio, il ramo della sposa: Rachel, a metà strada tra egoismo e legittime rivendicazioni; Kym, vista come “diversa” e che tale si sente, alle prese con un momento che ha un significato proprio, che trascende le nozze della sorella; Abby, la vera pazza del gruppo, madre della sposa; Paul, padre che non riesce ad affrontare la situazione e tenta con la propria supervisione di avere almeno l’illusione del controllo; Emma, damigella d’onore, alla quale l’etichetta di “stronzetta” si addice perfettamente. Dall’altro lato son tutti bravi, ma non importa: quel che conta sono le dinamiche dei rapporti in seno alla famiglia Buchmann, dove la cortesia è di facciata e viene il sospetto – naturalmente fugato – che anche l’affetto lo sia; Declan Quinn si muove tra gli invitati di questo matrimonio e l’impressione che ne deriva è quella del documentario sul disfacimento del sogno americano. Una sorta di “American Beauty” concentrato, più economico, dai toni meno esasperati e senza compiacenza per i personaggi, né possibilità di identificazione alcuna.
Anne Hathaway è stata ignorata dalla giuria del 65° Festival di Venezia, ma non per suo demerito quanto per la bravura di Dominique Blanc ne “L’Autre”; in questa pellicola si cimenta finalmente con il genere col quale era attesa al varco dopo le copertine de “Il diavolo veste Prada”. Le scelte delle distribuzioni italiana fan sì che la vedremo quasi in contemporanea alle prese con il thriller “Passengers”. Tutto il film ruota attorno a lei, ma non fanno altrettanto gli altri personaggi, tra i quali si distingue una Debra Winger alla cui presenza sullo schermo siamo ormai poco abituati.
Chi sorprende di più, a conti fatti, è Jonathan Demme: il regista di “Philadelphia” o “Il silenzio degli innocenti” sembra lontano anni luce, oltre al modo di girare quel che si nota è un diverso approccio alla storia e al film stesso. “Rachel sta per sposarsi” è un film girato come se fosse un documentario, nel quale ogni personaggio ha il suo spazio e la macchina da presa non fa altro che riprenderlo, senza per questo eclissarsi: Demme e Quinn ci sono, e scelgono come seguire i loro personaggi. Senza effetti speciali, senza spese folli: una storia, un buon cast che rende anche meglio; piccolo grande cinema. |