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"La classe - Entre les murs" vince la Palma d'oro al Festival di Cannes e con questo film la Francia torna a vincere il premio cinematografico più ambito dopo ben 21 anni. La scuola media è vista da Laurent Cantet come una palestra della democrazia, un microcosmo da analizzare e comprendere, un luogo pieno di contraddizioni dove si incontrano adulti e giovani che devono essere formati. |
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Dal suo film si ha come l'impressione che la scuola francese non riesca più ad amalgamare i diversi elementi della società, forse a causa dei troppi stranieri e delle molte culture presenti. Trova che uno dei problemi principali della scuola sia che non riesce più a dare una vera e propria cultura? |
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Prima di tutto ci tengo a chiarire che non ho mai voluto fare un film che rappresentasse la Francia o il sistema scolastico francese. Sì, è vero, ho scelto una scuola per ambientare la vicenda e degli studenti come attori, ma non ho focalizzato la mia attenzione sul funzionamento della scuola. Mi sono invece soffermato sui momenti di maggior dialogo tra professori e studenti, nei quali i ragazzi sono spinti a ragionare e a capire. Ho voluto vedere la scuola più come un luogo e una palestra della democrazia che come luogo di cultura, non perché la scuola non trasmette cultura, ma perché mi interessava maggiormente quest'altro aspetto. Riguardo al fatto che ci siano troppi stranieri, in realtà praticamente tutti i personaggi-attori stranieri del film sono nati in Francia e hanno studiato in Francia. Non credo si debba pensare alla cultura come un qualcosa di statico. La cultura è in continua evoluzione e si arricchisce anche grazie alle differenze, probabilmente rendendo i giovani più aperti di un tempo. |
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Cos'è che l'ha colpita maggiormente di questo mondo adolescenziale, cosa ha scoperto? |
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Diciamo che la cosa che mi ha stupito maggiormente è stato il loro coinvolgimento durante la produzione di questo film. Generalmente si ragiona per stereotipi, si parla di una generazione svogliata, invece li ho visti molto reattivi. Io ho invitato a partecipare i ragazzi della scuola a un laboratorio pomeridiano il mercoledì pomeriggio durante le vacanze estive e ho ricevuto una grande risposta. Da 50 studenti ne sono rimasti 25 e ho potuto stabilire con ognuno di loro un rapporto approfondito. Il bello di questo è film è che ha dedicato tanto tempo a ognuno di loro. Per fare questo film hanno lavorato con entusiasmo e i professori erano quasi gelosi di questo loro atteggiamento. |
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In Francia, dove il film è andato molto bene al botteghino, si è parlato molto di questo Entre les murs anche e soprattutto per le polemiche relative a un presunto attacco al sistema scolatico pubblico francese. Cosa ne pensa? |
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La polemica effettivamente c'è stata, probabilmente troppa ed è una cosa che ha pesato. Io non volevo descrivere la scuola francese. Il dibattito sulla scuola è vecchio e probabilmente il film è stato semplicemente un pretesto di chi voleva già farlo per parlare del problema. Ad ogni modo ero preparato alle polemiche, anche perchè c'erano già state con l'uscita del libro di Francois Begaudeau da cui il film è tratto. Però, ripeto, non volevo dire "questa è la scuola francese", perchè il film è molto selettivo e mostra soltanto un determinato aspetto. |
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La sua filmografia dimostra che lei ama analizzare elementi come l'integrazione e il lavoro. Si sente un po' solo in Francia? |
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Credo che la ricchezza più grande del cinema francese sia la sua grande varietà e diversità. Al giorno d'oggi sono aumentati i registi che affrontano la realtà nei propri film e in questo senso mi sento molto vicino a film come “Gomorra”. |
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Il suo film non è un documentario. Quando lei ha cominciato questo lavoro che cosa cercava? Perchè questo titolo Entre les murs, con una sfumatura diversa da La classe? |
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Per me il titolo francese voleva essere una sorta di "cassa di risonanza" per tutti quei problemi che non vengono affrontati, voleva in un certo modo costruire un microcosmo da analizzare e volevo trasmettere l'idea che la scuola è staccata dalla società, i ragazzi arrivano con tutto quello che hanno, la scuola deve integrare le diversità, se non se ne rende conto va verso il fallimento. |
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L'insegnante protagonista si muove da un parte stretto dall'autorità forte della scuola, dall'altra viene messo in crisi nella sua autorità dagli studenti. Lei pensa che ci sia il problema di restituire l'autorità della scuola? |
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Forse sarò utopista, ma non mi aspetto dalla scuola che sia come prima cosa autoritaria. Non dev'essere il luogo dell'autorità, insegnanti e studenti devono essere protagonisti e autori della propria storia e devono cercare di rispondere tutti insieme alla domanda "che cosa facciamo qui tutti insieme?". |
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La scuola è il principale luogo di incontro tra l'adulto e il giovane da formare. Nel suo film non si salva nessuno, sono tutti delle isole e verso la fine una ragazza dice "Io non capisco cosa sta succedendo". Crede che ci sia una incomunicabilità di fondo? Fare il professore significa avere una vera e propria "vocazione professionale"? |
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Il film voleva ovviamente anche descrivere la scuola in sé, che è piena di contraddizioni. E' infatti un grande luogo dove si impara a ragionare, ma allo stesso tempo anche un grande luogo di esclusione. Fare il professore al giorno d'oggi vuol dire impegnarsi completamente, l'insegnamento è uno stato mentale, bisogna crederci veramente in quello che sì fa. Non c'è un insegnante ideale, quello che è certo, oltre alla professionalità, è che devono avere un'ottima salute. Io per il ruolo dell'insegnte ho preteso di utilizzare François Bégaudeau proprio perchè altrimenti non avrebbe avuto quella naturalezza e quella immediatezza. |
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